RDC: 107 associazioni al Papa: “sanzioni per gli aggressori nel Kivu!”

Il Pontefice è "la vera scorta mediatica del Congo".

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La speranza è che la visita del papa in Repubblica Democratica del Congo, il 31 gennaio prossimo, possa aprire un varco nell’informazione mainstream e far luce sull’inferno del Kivu.

«Il papa è la vera scorta mediatica del Congo oggi!».

A dirlo sono i rappresentanti della società civile e del mondo missionario, intervenuti stamani in conferenza stampa per parlare di pace nell’est della RDC, a pochi giorni dal viaggio apostolico.

«Aiutateci a rompere il silenzio e a metter fine all’ipocrisia della comunità internazionale» sui crimini commessi in Congo, ha incalzato l’attivista John Mpaliza, rivolto ai giornalisti.

Se il papa «non andrà a Goma è perchè lì c’è l’inferno», ribadisce.

Tra i Paesi coinvolti nel conflitto e finanziatori delle milizie armate ci sono Ruanda e Uganda, protetti dall’Occidente: «dietro i paesi limitrofi si nascondono con ogni evidenza quelli occidentali», denunciano gli attivisti.

La direttiva dell’Unione europea sui minerali insanguinati, la 821 del 2017, che avrebbe dovuto contribuire a tracciarne la provenienza,

«non sta funzionando», dice Mpaliza, anche perchè non conteneva il riferimento al cobalto che invece è cruciale in Congo.

Svelare responsabilità e connivenze in un conflitto per le risorse minerarie che dura da troppo tempo, è uno degli obiettivi delle 107 associazioni della società civile italiana che hanno scritto una lettera al Pontefice.

«La sua venuta è stata lungamente attesa dal popolo congolese, di ogni appartenenza religiosa», scrivono nella missiva al papa.

«Perché chi si sente fra i dimenticati della storia, trova un soffio di speranza presso chi gli si fa prossimo.

Perché, attraverso di lei, il mondo potrà alfine guardare alla sofferenza senza fine di questo popolo, soprattutto all’Est, e mettere in atto strumenti che sanzionino gli aggressori e scoraggino la guerra», si legge in uno stralcio.

Stamani erano presenti il fidei donum don Giovanni Piumatti, padre Tonio  Dell’Olio di Pro Civitate Christiana, e Micheline Mwendike, attivista del movimento congolese Lucha.

Secondo gli attivisti, tra i quali il congolese Pierre Kabeza, prigioniero politico e docente, le responsabilità di Ruanda e Uganda sono oramai note e apertamente dichiarate, il passo successivo è quello di sanzionarli.

«Non vogliamo tribunali come quello di Norimberga, noi vogliamo che sia fatta giustizia!», dicono, anche tramite l’apertura di un processo presso il Tribunale Penale Internazionale.

«Che la stampa ci aiuti a diffondere il Rapporto Mapping delle Nazioni Unite – ha ribadito l’attivista – perchè i nomi e i responsabili di questi crimini sono tutti contenuti lì dentro».

All’origine del conflitto nel Kivu, che vede coinvolti diversi attori in posizione piramidale (dai ribelli sul campo alle nazioni africane confinanti, agli europei che traggono vantaggio dai commerci) ci sono le vaste riserve di minerali e terre rare.

Si chiede pertanto all’Unione Europea di «ripristinare e revisionare il Regolamento  2017/821 sui minerali, entrato in vigore il 1 gennaio 2021, estendendolo anche al cobalto e rendendo concreta l’applicazione della legge sulla tracciabilità dei minerali, uno strumento concreto per bloccare l’uso di minerali che provengono da aree di conflitto».

  Nello specifico le 107 organizzazioni chiedono di «togliere terreno al Movimento armato M23 e agli oltre 100 gruppi ribelli presenti nell’area con la realizzazione di un programma concreto di disarmo, smobilitazione e, dove possibile, con la reintegrazione dei combattenti nella società civile».

Si chiede di dare un seguito a quanto indicato dal “Rapporto del Progetto Mapping relativo, alle violazioni più gravi dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario commesse tra marzo 1993 e giugno 2003 sul territorio della Repubblica Democratica del Congo”.

Qui la conferenza stampa registrata.