Dall’India spiritualità e misticismo in musica

Facebooktwitterlinkedinmail

Da quando esiste, la musica serve a un sacco di cose: a pensare e a divertirsi, a protestare e a pregare; può far da sfondo alle nostre angosce o indignazioni, o più semplicemente, al nostro relax.

E’ da notare che sempre più spesso le frenesie e le inquietudini intrinseche alla post-modernità portano tanti a cercare rifugio nella quiete riflessiva che offrono certe antiche abbazie o monasteri, e anche luoghi dove la vita scorre meno frenetica o invita alla meditazione.

Certi luoghi dell’India, per esempio, dove anche la musica coopera attivamente a una sorta di ecologia dell’anima di cui sempre più persone sentono il bisogno, fors’anche più di quell’altra…

Qualche mese fa, inclusa nella splendida collana A Rough Guide To dedicata alle infinite musiche del mondo, è uscita una compilation dedicata proprio a questo immenso Paese, e in particolare, a musicisti e composizioni di matrice mistica e spirituale.

Atmosfere che spaziano tra sonorità antichissime e le loro ancora attuali interconnessioni con il nostro intimo.

Ci sono i tesori sonori dei fachiri sufi del Bengala (una scuola con più di 500 anni di storia che consiglia l’attenzione all’hic et nunc più che il rincorrere paradisi concettuali), che qui sono ben rappresentati da Babu e Arman Fakir, due musicisti islamici che nutrono la loro ispirazione con la filosofia, l’ascetismo e la devozione mistica.

Da Bangalore arriva il violino suadente di Jyotsna Skrikanth, c’è la tabla (le percussioni tipiche di questa zona dell’Asia) di un virtuoso come Subhasis, mentre ad aprire l’album c’è la voce intensa e melodiosa di Anandi Bhattacharya di Calcutta, accompagnata alla chitarre dal padre, Debashish e da altri importanti musicisti locali.

Da segnalare anche Paban Das Baul la cui musica si rifà ai canti mistici dei raccoglitori di miele del Gange.

Ma c’è anche un gruppo francese, il Guillaume Barraud Quartet che, influenzato da questi aromi sonori, offre una sapida commistione tra la tradizione musicale indiana e il jazz occidentale, dove a guidare le danze è il bansuri, il tipico flauto indiano di bambù.

Esuberanze e struggimenti, preghiere estatiche e melodiosi sussurri, purezze di suoni e d’armonie certo molto lontane dai gusti occidentali eppure in grado d’ammaliare chiunque sia disposto a gustarli senza preconcetti.