La Sace rinuncia al progetto dell’oleodotto Eacop in Africa orientale

Un successo della Campagna di ReCommon, con Fridays for Future e Movimento Laudato Sì per dissuadere i creditori.

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Grandi aziende e banche europee, tra le quali Deutsche Bank, Jp Morgan e Beazley, stanno lentamente prendendo le distanze dal controverso progetto dell’East African Crude Oil Pipeline in Africa orientale.  

Questi ed altri istituti di credito hanno rinunciato a partecipare alla costruzione dell’oleodotto più grande al mondo. Marsh McLennan, gruppo assicurativo americano, ha invece confermato il suo coinvolgimento, come scrive il Financial Times.

E’ notizia di questi giorni che la SACE, Assicuratore pubblico italiano, nel mirino degli attivisti contrari alla ‘grande opera’, non sosterrà finanziariamente l’infrastruttura che sulla carta misurerà 1445 km, attraversando Uganda e Tanzania. 

«E’ un risultato ottenuto dopo un anno e mezzo di campagna, portata avanti da ReCommon insieme ai Fridays for Future, alla Campagna StopEACOP e al Movimento Laudato Sì», fanno sapere gli attivisti di ReCommon.

Anche Euler Hermes, corrispettivo tedesco della SACE, si è tirato indietro.

«SACE ed Euler Hermes, in quanto agenzie di credito all’esportazione, erano state approcciate per garantire con soldi pubblici gli investimenti privati delle società coinvolte nella costruzione della devastante opera, in quanto Uganda e Tanzania sono considerati contesti ‘a rischio’», scrive ancora ReCommon.

Senza il coinvolgimento degli assicuratori pubblici, attirare capitali privati risulterà sempre più difficile per Total e Chinese National Offshore Corporation (CNOOC), i due grandi colossi petroliferi per ora coinvolti nella realizzazione dell’opera.

«Un risultato frutto di un grande sforzo collettivo», commenta Simone Ogno di ReCommon. «La battaglia non è però finita: i lavori stanno andando avanti, con ripercussioni gravissime sulle comunità locali e l’ambiente».

Il progetto indica nella città di Hoima, nei pressi del lago Alberto (il settimo più grande d’Africa) in Uganda, il punto di partenza dell’oleodotto, dove è stato scoperto un giacimento da 1,7 miliardi di barili potenziali di petrolio.

La francese Total e la cinese China National Offshore Oil Corporation hanno puntato già da anni a questa potenziale ricchezza da estrarre.

Partner del progetto sono l’Uganda National Oil Company e la Tanzania Petroluem Development Corporation (TPDC). 

Dopo aver attraversato l’Uganda, la pipeline passerebbe per la Tanzania arrivando infine a Tanga, il secondo porto più grande della Tanzania.

Da qui il greggio sparisce sulle navi cargo. Dunque la popolazione locale non godrebbe alcun beneficio dall’Opera. Tutt’altro.

Il sito web ufficiale dei progettisti dell’Eacop ha realizzato dei report dettagliati della pipeline, come quello che riguarda il tratto della Tanzania (corridoio di transito dell’infrastruttura), dicendo chiaramente che andrà espropriata la terra, laddove sono stati contati almeno 1500 piccoli coltivatori. (clicca qui per il report).

Sono naturalmente previste delle compensazioni, che però non vengono ritenute assolutamente soddisfacenti da attivisti e comunità locali.

Inoltre i danni ambientali e i possibili incidenti da sversamento del petrolio (che una infrastruttura di queste dimensioni con scarsa protezione può provocare) sono incalcolabili in una regione africana che vanta parchi protetti, foreste e laghi patrimonio dell’umanità.

(Foto credits: MILE 91 / ROBERT HARDING PREMIUM / ROBERTHARDING VIA AFP Il gasdotto a Mtwara in Tanzania).