Ucraina: il cardinal Zuppi, la pace possibile e la guerra come “pandemia”

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Grati a papa Francesco «per la sua profezia, così rara oggi, quando parlare di pace sembra evitare di schierarsi o non riconoscere le responsabilità».

Il cardinal Matteo Zuppi, Presidente della Cei, incaricato da Francesco per una missione di pace in Ucraina, ha appena pronunciato queste parole in apertura della 77ª Assemblea Generale della CEI, in corso dal 22 al 25 maggio a Roma.

«La sua voce – dice il cardinale – si fa carico dell’ansia profonda, talvolta inespressa, spesso inascoltata, dei popoli che hanno bisogno della pace».

Qualche giorno fa la sala stampa vaticana aveva confermato: «Papa Francesco ha affidato al Cardinale Matteo Zuppi l’incarico di condurre una missione, in accordo con la Segreteria di Stato, che contribuisca ad allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina, nella speranza, mai dimessa dal Santo Padre, che questo possa avviare percorsi di pace».

E il cardinale nel discorso alla Cei ha spiegato:

«La guerra è una pandemia. Ci coinvolge tutti. Nel recente viaggio in Ungheria, il Papa si è interrogato: “Dove sono gli sforzi creativi di pace?”».

Lasciamoci inquietare da questa domanda, perché non rimanga solo la logica spietata del conflitto.

Papa Francesco constata il deterioramento delle relazioni internazionali: “Pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace – ha detto in Ungheria – mentre si fanno spazio i solisti della guerra”». (…)

Il cardinale Zuppi in questo suo discorso di introduzione ai lavori, denso di significato, ha poi aggiunto:

«Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina – come il segno di pace – dall’Eucaristia e dal Vangelo».

La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti.  

Il presidente della Cei ha invitato a riflettere sul fatto che  «c’è una cultura di pace tra la gente da generare e fortificare.

Tante volte l’informazione così complessa spinge all’indifferenza, a essere spettatori della guerra ridotta a gioco.

La solidarietà con i rifugiati – quelli ucraini, ma non solo – è un’azione di pace».

Poi ha allargato  lo sguardo ad altri conflitti: «penso al Sudan – ha detto – e al suo dramma umanitario.

In un mondo come il nostro non possiamo prescindere da una visione globale. Seguire le vicende dolorose dei Paesi lontani, con la preghiera e l’informazione, è una forma di carità.

Del resto la cultura della pace è un capitolo decisivo della cultura della vita, che trae ispirazione dalla fede».