Sudan: nuovo fronte di guerra, centinaia di civili fuggono dal Blue Nile

I combattimenti del terzo soggetto armato, l'SPLA-N, iniziati lunedì mattina nel Blue Nile

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Le cose si complicano in Sudan con l’entrata in campo di un terzo soggetto armato: una delle tre declinazioni del Sudan People’s Liberation Army – North (SPLM-N).

Da alcuni giorni, infatti, questo gruppo imperversa tra Sud Kordofan e Blue Nile, le regioni di origine e appartenenza di questi combattenti.

Si aprono dunque nuovi fronti di guerra in Sudan e a rimetterci sono naturalmente i civili. L’irrompere del conflitto anche nella regione di confine con l’Etiopia, nel Blue Nile, è una novità che disegna scenari preoccupanti.

Centinaia di persone tra le più vulnerabili stanno fuggendo verso l’Etiopia, incalzate dal movimento ribelle (le cui origini risalgono al dittatore al Bashir), entrato a gamba tesa nel conflitto che dal 15 aprile si combatte tra esercito governativo e paramilitari del generale Hemedti.

Si tratta quindi di un terzo protagonista armato.

A parlarne è la stampa locale, in particolare il Sudans Post, con noi parla un missionario che vive ed opera da anni in Sudan, ma preferisce restare anonimo.

«E’ troppo presto per capire quale sia l’intenzione reale di questo gruppo armato, l’SPLA-N e del suo leader – spiega la fonte – in passato a me era sembrato tra i più ragionevoli, per cui adesso mi chiedo se il suo intervento in guerra sia da interpretare come difesa estrema del popolo, nel Sud Kordofan e Blue Nile, oppure come semplice volontà di dominio.

Soprattutto ora che l’esercito regolare è più debole».

E aggiunge: «L’SPLA-N potrebbe voler approfittare della parziale ritirata dell’esercito da quelle zone per conquistare il territorio più grande».

Alcuni testimoni oculari hanno raccontato al Sudans Post che i «i combattimenti nel Blue Nile sono iniziati all’alba di lunedì, quando forze armate, appartenenti al SPLA-North hanno attaccato l’esercito sudanese a sud di Kurmuk, nel Blue Nile», provocando la fuga di centinaia di persone disperate.

Un secondo articolo del giornale indipendente (che fornisce news dal campo su Sudan e Sud Sudan), racconta l’attacco armato di qualche giorno prima nel Sud Kordofan, da parte dello stesso gruppo armato.

La Reuters invece conferma quanto raccontato dalle stesse Rapid Support Forces – RSF (i paramilitari che si oppongono all’esercito nazionale) nei suoi profili social frequentemente aggiornati tramite comunicati stampa.

Le RSF avrebbero conquistato delle basi militari nel quartier generale dell’esercito a khartoum.

I civili sono così incalzati su tre fronti: dall’alto imperversa l’aviazione militare dell’esercito del generale al-Burhan; sul campo, soprattutto nel Darfur, il territorio è occupato dalle Rapid Support Forces, eredi dei Janjaweed, particolarmente spietate con i civili che fuggono in Ciad; e da ultimo i ‘ribelli’ del Sudan People Liberation Army North che combattono nel Sud Kordofan e Blue Nile.

L’SPLM-Nord è una delle tre fazioni in cui si è suddiviso il gruppo storico del Sudan People Liberation Army dopo la caduta del dittatore al Bashir, nel 2019 e «rappresenta quella parte minoritaria che non si è mai integrata nell’esercito nazionale», spiega ancora la nostra fonte.

Nel dettaglio, il leader di questa forza ribelle, al-Hilu, avrebbe rifiutato di recarsi a Juba nel 2020 per firmare gli accordi di pace che prevedevano l’ingresso nell’esercito regolare.

Il missionario conferma che la situazione interna in tutto il Sudan è sempre più confusa e drammatica per i civili che restano in patria, e per gli sfollati che devono raggiungere i Paesi limitrofi, anzitutto l’Egitto, poi il Ciad, e l’Etiopia.

L’Egitto ha posto molte restrizioni ai visti per i profughi in uscita dal Sudan: fino a qualche mese fa i bambini  e gli anziani non avevano bisogno di visto, ora è necessario.

Da notizie divulgate dal giornale Ahram Online, sembra che siano state ridotte le tasse per i visti in uscita, onde facilitare l’evacuazione verso Egitto e Ciad.

Nonostante la mancanza di cibo e beni di prima necessità, i missionari che non hanno lasciato il Sudan, stanno bene: i comboniani sono tuttora presenti in in tre località: Port Sudan, dove sono abbastanza tranquilli, sebbene la città abbia ricevuto tantissimi sfollati interni ed abbia infrastrutture limitate; a Kosti, lungo la strada verso il Sud Sudan.

Ed infine ad El Obeid, dove c’è maggiore preoccupazione «perchè la città è sotto controllo dell’esercito ed è circondata dalle Rapid Support Forces».

I missionari salesiani sono invece presenti sia a El Obeid che a Khartoum e un loro messaggio giunto oggi in redazione dice:

«La situazione sta peggiorando, giorno per giorno si fa più dura. Mancano cibo e acqua, le banche sono chiuse ed anche se qualcuno possiede una moneta straniera non può cambiarla in nessun modo perchè non c’è più denaro in circolazione».

«Vicino alla parrocchia di St Joseph’s a Khartoum è terribile – prosegue la lettera dei salesiani – : la città è praticamente distrutta, a causa dei forti bombardamenti e delle sparatorie.

La bellezza di Khartoum è andata persa e ci vorranno oltre 20 anni per ricostruirla.

Noi per ora stiamo bene anche se praticamente tutti i religiosi hanno lasciato il Paese: non così a Khartoum dove ci sono ancora i padri salesiani, le suore salesiane e alcuni altri missionari».

Infine, per quanto riguarda il negoziato di pace, tutto sembra al momento in stallo:

«Fondamentale sarebbe il ruolo di Arabia Saudita ed Emirati Arabi, ma finora i tentativi di pace più famosi sono falliti ed hanno lasciato fuori gioco i civili, che pure avrebbero da giocare un ruolo da protagonisti sulla scena politica per la pace e la democrazia».