Sant’Antonio da Padova, il missionario

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Un vero missionario. In vita predicatore francescano nella Francia delle eresie dei Catari; sugli altari amico di uomini e donne di altre religioni in terre lontane.

Così sant’Antonio da Padova è oggi conosciuto e amato in molti Paesi del mondo dove è venerato con candele, processioni e preghiere. Ci accompagna in questo “pellegrinaggio” sulle orme del santo, Andrea Semplici, giornalista e scrittore, esperto di realtà del Sud del mondo, da tempo collaboratore de “Il Messaggero di sant’Antonio” (520mila abbonati in 148 Paesi), autore di reportage dai luoghi in cui la devozione ha messo radici.

Spiega Semplici: «La mia collaborazione alla testata è cominciata quattro anni fa, insieme alla mia curiosità di conoscere meglio la figura di sant’Antonio perché sapevo abbastanza poco di lui. Dal punto di vista giornalistico mi ha colpito la scoperta della devozione universale data a questo santo.

Non si tratta soltanto della devozione di chi va a Padova ma dei luoghi sparsi nel mondo in cui questo santo è amato e venerato.

Colpisce il fatto che questo avvenga anche da parte di persone non cattoliche come a Istanbul, a Laç in Albania, dove coloro che vanno a pregare sono musulmani.

Quando poi sono andato a visitare questi luoghi sorprendenti, sono rimasto senza parole».

Nella capitale turca, la chiesa di Sent Antuan kilisesi sorge in un angolo arretrato della centralissima Istiklal Caddesi, già famosa in passato come Grande Rue de Péra, dove due architetti italiani costruirono l’edifico nei primi anni del secolo scorso, obbedendo alle leggi urbanistiche secondo cui i luoghi di culto cristiani non dovevano essere riconoscibili.

Ogni martedì (giorno dedicato al santo) centinaia e centinaia di musulmani (i cristiani in Turchia sono un irrisorio 0,002% della popolazione) attraversano il cancello aperto sulla strada e il cortile per fermarsi in preghiera davanti alla statua.

Chi ha visto come Semplici questi gesti di devozione, resta colpito dal fatto che vengano compiuti «gli stessi gesti del culto cattolico: la preghiera, i messaggi scritti, toccare la statua, bruciare incenso, accendere candele.

Il consumo delle candele nella chiesa di Istanbul è pari a quello della basilica di Padova. Sono soprattutto le donne che vanno a pregare perché in chiesa è consentito loro fare quello che non fanno in moschea, e cioè di avere una sorta di devozione manifesta al santo a cui si scrive la grazia richiesta. Le persone dicono che si rivolgono a Sent Antuan perché il santo ascolta, risponde perché la sua mediazione verso Dio è sempre efficace».

Nella chiesa di Istanbul ci sono i frati che il martedì sono presenti e ascoltano chiunque abbia voglia di parlare con loro, con una disponibilità al dialogo che fu già di Angelo Roncalli negli anni in cui fu nunzio apostolico in Turchia (1934-43). Il futuro papa e santo, Giovanni XXIII, si rivolse ai musulmani chiamandoli «fratelli», fece tradurre in turco il Vangelo e incoraggiò la devozione a sant’Antonio.

In Albania invece le cose sono andate diversamente.

Spiega Semplici: «I francescani sono stati l’unico ordine religioso che è sempre rimasto nella regione balcanica anche durante il lungo periodo di dominio dell’impero ottomano e nel periodo del regime di Enver Hoxa, anche se clandestini, nascosti e perseguitati. E questo la popolazione non lo ha dimenticato e Antonio è diventato uno dei simboli della resistenza personale alla protervia del regime comunista.

Mi hanno raccontato che l’unica chiesa completamente rasa al suolo con la dinamite, è stata il santuario di sant’Antonio della montagna di Laç, a circa 40 chilometri da Tirana, nella zona tradizionalmente cattolica. Dopo la distruzione il luogo fu dichiarato zona militare, inaccessibile per decenni al punto che si vedono ancora le tracce dei sentieri di chi affrontava impervie camminate nelle montagne per andare a pregare.

Si capì che il regime comunista stava ormai dissolvendosi quando nel 1991 ci fu una immensa processione di 60mila persone là dove sorgeva il santuario. Anche in questo caso la maggioranza delle persone erano musulmane.

Oggi la grande festa si celebra il 13 giugno e raccoglie 150mila persone in buona parte non cristiane. Anche in Kosovo, regione di cultura albanese, il santo ha una importanza straordinaria soprattutto nella città di Giacova».

Protettore dei commercianti, affidabile cercatore di oggetti perduti, sant’Antonio, che nella sua vita fu uno studioso, un teologo e uno straordinario predicatore, grazie alla tradizione popolare è diventato una figura multitasking. In Francia (dove sorge il santuario a Brile la Gaillarde nel Sud-ovest del Paese) è il “santo delle piccole cose”, a cui è dedicata la filastrocca popolare: «Saint Antoine, grand voleur, grand filou, rendez c’est que n’est pas à vous», ovvero «Sant’Antonio grande ladro, grande furbo, restituisci quello che non è tuo».

Ma è anche protettore dei raccolti in molte zone rurali, patrono delle zitelle in cerca di marito nel mondo ispano-americano e perfino guaritore dalla pazzia in Ghana. Qui è conosciuto da tutti come Nanà Antonà e ai piedi della sua statua, storia e fede popolare si stringono in un solo abbraccio con gli uomini e le donne figli della terra d’Africa.