Quanto costa (ai poveri) la moda low cost

Un'inchiesta sul cimitero della moda a basso prezzo sul prossimo numero di Popoli e Missione.

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Colline di stracci colorati restano sotto il sole, qua e là da questo paesaggio spettrale si levano i fumi di roghi che rendono l’aria irrespirabile.

È la discarica del fast fashion: nel deserto di Atacama in Cile: il cimitero della moda a basso prezzo è il capolinea del lungo viaggio di un capo di abbigliamento attraverso Paesi lontanissimi del mondo.

Un percorso di fabbricazione, vendita, consumo e smaltimento (o riciclo) che coinvolge almeno 75 milioni di lavoratori (regolari) con un giro d’affari in crescente aumento.

Secondo il report della società di analisi Kantar il mercato globale ha toccato i 300 miliardi di dollari di vendite nel 2020, una cifra che potrebbe arrivare a 260 miliardi nel 2025.

Le previsioni si basano sulla crescita dei mercati emergenti e sullo sviluppo delle tecnologie che, anche durante i periodi lockdown per la pandemia, hanno permesso di continuare ad acquistare i capi attraverso le vetrine on line (12% delle vendite totali).

Cinque i grandi protagonisti della grande crescita del mercato dell’abbigliamento low cost, le multinazionali del low price che si spartiscono il mercato globale: si tratta del giapponese Fast Retailing (Uniqlo), dello spagnolo Inditex (Zara), dello svedese H&M e degli americani TJX e Old Navy.

In base al loro giro d’affari cambia lo scacchiere delle delocalizzazioni, dei Paesi–laboratori, dell’andamento dei prezzi e dei giganti dell’e-commerce coinvolti.

Con nuovi mercati su cui si sta investendo in previsione degli aumenti dei consumi: il giro d’affari sarà sempre di più concentrato in Asia con un incremento dell’8,6%, mentre America del Nord ed Europa si attestano introno al 3,9%.

In sinergia d’affari troviamo anche i giganti della distribuzione come Amazon, i cinesi Alibaba e JD.com che con le special offer on line, le pubblicità a suon di algoritmi e i negozi virtuali amplieranno ulteriormente i loro bilanci miliardari.

Tra i mercati emergenti troviamo anche Paesi già da tempo produttori di capi a basso prezzo come Cina, India e Indonesia, oggi in rimonta come consumatori di moda: un segnale di come, dopo decenni di confezioni con tessuti scadenti e mano d’opera sottopagata, siano stati assorbiti nuovi know how, filiere manifatturiere più ampie, nuovi modelli di abbigliamento e look ispirati al gusto dei committenti stranieri.

Ma procediamo con ordine. Riavvolgiamo il nastro e partiamo dalla fine per capire cosa c’è dietro i business miliardari, dietro i nuovi padroni del mercato internazionale, dietro i nuovi ritmi di consumi.

Torniamo ad Atacama nell’area di Alto Hospicio in Cile, nel coacervo colorato di stoffe e capi di vestiario targati made in Vietnam, Corea del Nord, Bangladesh, Romania o Marocco. (…)

(L’inchiesta prosegue sul numero di Marzo di Popoli e Missione in uscita, per richiederne una copia: popoliemissione@missioitalia.it)