Crisi ucraina e strategie di Mosca, la morte del multilateralismo

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In queste ore il mondo intero segue con trepidazione l’esito della crisi tra Russia e Ucraina; si spera in una soluzione diplomatica: il presidente russo Vladimir Putin e quello Usa Joe Biden «hanno accettato in linea di massima» di incontrarsi in un vertice su richiesta dell’Eliseo.

Il summit, fa sapere Macron «si terrà a patto che la Russia non invada l’Ucraina».

Ma cerchiamo di capire meglio le ragioni profonde di questa ennesima tensione al confine orientale dell’Ucraina. Dove si gioca una fase cruciale della partita di potere della Russia con l’Occidente.

Mosca continua a muoversi con minacce concrete di invasione sullo scacchiere delle Repubbliche ex sovietiche asiatiche: qui una prova del maggiore interventismo russo si è avuta con la cruenta crisi esplosa lo scorso gennaio in Kazakhstan, con l’invio, sia pure limitato nel tempo, di truppe russe nel Paese su richiesta del governo kazako.

L’intervento in questione è apparso quasi una conferma della convinzione di alcuni osservatori che Mosca intenda ricostituire dopo 30 anni un sistema militare integrato da contrapporre alla Nato e alle sue prospettive di espansione.

In quest’ottica può essere letto anche il dispiegamento massiccio di truppe russe al confine con l’Ucraina, via via consolidato in parallelo con l’aumento di forniture militari al governo di Kiev da parte degli Stati Uniti e non solo (l’esercito ucraino, per esempio, si è dotato di droni turchi, già determinanti per la vittoria dell’Azerbaigian contro l’Armenia nel settembre 2020 in Nagorno-Karabach).

Il punto di fondo è la determinazione del presidente russo Vladimir Putin nell’opporsi a ogni allargamento a Est della Nato.

 

Da mesi è in atto tra Stati Uniti e Russia un negoziato ai massimi livelli, anche con colloqui diretti tra Putin e il presidente statunitense Joe Biden, senza che la tensione si raffreddi in maniera sensibile, mentre le due parti continuano a rafforzare i dispositivi militari, la Russia direttamente, gli Stati Uniti appunto con massicce forniture di armamenti a Kiev.

Le premesse di tale crisi, che secondo lo scenario più pessimista potrebbe riportare la guerra nel continente europeo, sono annose.

Putin sostanzialmente accusa Washington di violazione dell’impegno preso all’epoca della riunificazione tedesca e poi dello scioglimento dell’Unione Sovietica di non dispiegare forze della Nato ai confini russi.

Di contro, gli Usa parlano di minaccia russa all’Ucraina comprovata dall’aumento di truppe alla frontiera, incominciato nella primavera del 2021 e diventato su larga scala dallo scorso novembre.

Sembra paradossale che tale irrigidimento delle tensioni abbia fatto seguito all’avvio della presidenza di Biden e alla positiva ripresa dei colloqui con Putin sul controllo degli armamenti. Indagarne le motivazioni non è facile.

Che Mosca intenda invadere l’Ucraina o anche solo favorire una secessione del Donbass è sembrato fino a pochi giorni fa improbabile. E per chi crede nella diplomazia lo è ancora.

Tuttavia non si può escludere che gli avvenimenti precipitino, se non altro perché in questi anni il governo di Kiev ha via via potenziato il suo apparato militare.

Un’azione di forza per riassumere il controllo dei territori secessionisti sarebbe per Mosca non solo una sconfitta, ma la prova di un avvicinamento dell’Ucraina alla Nato.

Di qui l’ultimatum presentato a dicembre per iscritto agli Stati Uniti richiedendo che la Nato si impegni a negare formalmente l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia, ultimatum che Washington ritiene irricevibile adducendo il principio dell’autodeterminazione dei popoli.

È tuttavia significativo un aspetto della vicenda forse non abbastanza sottolineato, cioè che i negoziati siano ormai bilaterali tra Mosca e Washington, nonostante alcune iniziative diplomatiche europee.

È un’implicita presa d’atto dell’essere venute meno le condizioni fatte inserire da Mosca nel protocollo di Minsk, al momento l’unico accordo, negoziato da Francia e Germania, per arrivare al reintegro del Donbass russofono nell’Ucraina, se non altro perché nell’ultimo anno il governo di Kiev ha approvato molte leggi che limitano l’utilizzo della lingua e dei media russi.

Soprattutto è la controprova che si stia ricostituendo una situazione geopolitica di confronto diretto tra superpotenze.

Con tutti i pericoli del caso, a partire dall’influenza degli apparati militari e dei produttori e trafficanti di armi che tanto hanno contribuito a quella che Papa Francesco ha giustamente chiamato “guerra mondiale a pezzi” per la quale sembra ancora lontana la prospettiva di un trattato di pace.

(Una versione completa di questo articolo è stata pubblicata sul numero in uscita di Popoli e Missione)