Nuova vita per le donne afghane, in Italia grazie a ‘Salesiani per il sociale’

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Settanta profughi dall’Afghanistan sono riusciti a sfuggire alle persecuzioni dei Talebani. Tra loro un gruppo di donne dell’Afghanistan Women’s Political Participation Network di Kabul che sono a Roma grazie all’impegno di Maria Grazia Mazzola, inviata speciale del Tg1, dei “Salesiani per il Sociale” e della Federazione delle Chiese Cristiane Evangeliche Battiste.

A Kabul studiava informatica prima di lasciare il suo Paese ripreso in pugno dai Talebani.

Era la metà di agosto 2021 e la vita di Nagin come quella di tanti stava per essere capovolta. Oggi la ragazza di etnia hazara ha 20 anni e una nuova vita a Roma.

Prepara i primi esami di Economia, la facoltà che frequenta presso l’Università Luiss grazie ad una borsa di studio.

Mentre alle sue coetanee in Afghanistan è vietato accedere all’istruzione universitaria per ordine del 20 dicembre scorso delle autorità talebane, Nagin dice che «la laurea è il traguardo più importante» e guardando al passato, ricorda che le ultime sue ultime immagini dell’Afghanistan «sono quelle dei talebani che ti controllano all’ingresso dell’università per vedere se nascondi un paio di jeans nella borsa.

Loro le donne le trattano così: non devono studiare, non devono lavorare, non devono indossare i pantaloni, devono sempre essere accompagnate da un uomo in certi luoghi».

Insieme a lei sono riusciti a mettersi in salvo la madre Razia, giornalista di Tanadon Tv, il padre architetto Reza, il fratello Mohammad e la sorella Mathab.

La famiglia ha affrontato un viaggio di migliaia di chilometri con diversi mezzi ed è arrivata in Italia grazie all’impegno umanitario di Maria Grazia Mazzola, inviata speciale del Tg1, anima e braccia della “Rete umanitaria della società civile” che coinvolge i “Salesiani per il Sociale” di don Francesco Preite, la Federazione delle Chiese Cristiane Evangeliche Battiste con la FCEI, la cooperativa `Una Città non basta` e l’associazione “Libera” di don Luigi Ciotti.

Ed è grazie a questa iniziativa che 70 persone minacciate d morte dai talebani hanno potuto mettersi in salvo.

Tutto è cominciato il 30 agosto 2021 quando Maria Grazia ha ricevuto una mail con l’appello disperato: «Salvaci dalla morte, vendetta certa dei Talebani».

Un sos proveniente dal direttivo dell’Afghanistan Women’s Political Participation Network di Kabul, costituito da donne che avevano lavorato nel precedente governo ai progetti per la parità di genere, in ambiti professionali tradizionalmente solo maschili in Afghanistan.

Donne formate alla cultura dei diritti, che avevano fatto un bel pezzo di strada con le forze occidentali impegnate proprio in quei giorni nei ponti aerei per il ritiro dei contingenti.

Dopo l’invasione dei Talebani le donne sono scese in strada, hanno protestato, sono state pedinate, minacciate, hanno dovuto lasciare le case di notte e nascondersi con figli e parenti negli scantinati dei palazzi.

«Si tratta soprattutto di donne appartenenti all’etnia hazara sciite, al centro di un genocidio che è già costato 20 milioni di morti – spiega Maria Grazia -.

Una shoah come è successo ai tagiki e agli armeni. I primi contatti on line mi hanno permesso di conoscere donne straordinarie con professionalità e grande coraggio.

La loro precipitosa partenza rappresenta la perdita di un patrimonio di saperi ma ai talebani non interessa nulla di questa “fuga di cervelli”.

Nella loro furia cieca contro le donne, i talebani non sono interessati ai cervelli, sono fuori dalla storia.

Anzi, hanno paura proprio di questo patrimonio, come dimostra il fatto che hanno impedito l’accesso agli studi universitari alle ragazze.

Non è stato semplice organizzare le partenze ma ci siamo riusciti: ne abbiamo portate in salvo sei, due hanno poi fatto scelte diverse, le altre quattro sono in Italia con le loro famiglie».

C’è voluto un anno per portare in salvo 70 persone, grazie al ministero degli Esteri e a quello degli Interni, le ultime sette sono approdate in Italia nel dicembre sorso grazie ai corridoi umanitari di Sant’Egidio.

La prima famiglia è arrivata alla fine di ottobre 2021 ed è stata accolta dalla Chiesa Evangelica Battista di Trastevere, poi via via sono arrivati tutti gli altri.

«E’ la testimonianza è di un ecumenismo concretamente vissuto e attivato: protestanti e cattolici insieme hanno visto quello che li unisce nell’interesse dei vulnerabili – dice ancora Mazzola -.

Si è creata una catena umana di ben 6.500 chilometri: tanta è la distanza da Kabul per arrivare a Roma. Questa è una storia collettiva di donne che salvano altre donne».

Storie che sembrano lontane da noi ma sono in realtà vicine, basta vedere quello che sta accadendo in Iran come in Afghanistan, dove c’è «un odio nei confronti della donna e della creatività femminile che rompe gli schemi della tradizione e della società.

I Talebani stanno uccidendo anche i feti femminili. Abbiamo testimonianze dal personale medico di spose bambine che sono state rapite e messe in cinta, e fatte abortire se il feto è di sesso femminile».

Tra le donne messe in salvo dalla rete umanitaria c’è Batool Haidari, psicologa che parla di «apartheid di genere, la comunità internazionale deve riconoscere ciò che è accaduto alle donne in Afghanistan», la giornalista Razia Ehsani Sadat che denuncia: «I Talebani sono killer criminali responsabili degli omicidi di bambini, giovani e donne dell`Afghanistan.

Noi non negoziamo con i criminali».

Nesa Mohammadi, ginecologa sottolinea che il principio di uguaglianza delle donne parte dallo studio, mentre i Talebani hanno condannato le afghane «allo sfruttamento e alla povertà perché escluse da ogni diritto e dall`istruzione».

Tra le rifugiate afghane c’è chi continua a svolgere il suo lavoro di medico, collegandosi ogni giorno on line per alcune ore e guidando le allieve ostetriche dell’ospedale della sua città in Afganistan per aiutarle a far nascere i bambini.

Molte professioniste formate con criteri medici occidentali hanno già lasciato il Paese e sono fuggite in Canada Stati Uniti, Europa.

Due Paesi in bilico come Afghanistan e Iran presentano analogie drammatiche sul fronte delle persecuzioni genere.

«I due regimi si comportano allo stesso modo – commenta Mazzola -. Mentre l’Afghanistan, impedendo l’accesso alle università alle donne, ammette implicitamente la paura che le donne attraverso la formazione assumano ruoli di rilievo nella società, l’Iran vive una reazione durissima alla rivoluzione iniziata dalle donne e allargatasi subito a tutta la società civile.

Il governo degli Ayatollah si sta dimostrando tale e quale a quello dei Talebani con differenze di forma ma non di sostanza».

In questa operazione di sostegno ai rifugiati, i “Salesiani per il Sociale” stanno svolgendo un grosso lavoro.

Don Francesco Preite, presidente dell’associazione (attiva da 30 anni), è un uomo concreto. «Abbiamo circa 40 afghani che si trovano per la maggior parte presso le nostre case sparse da Nord a Sud – dice.

L’accoglienza è garantita anche dalle comunità sul territorio che si sono attivate per mettere al centro il profugo e la sua famiglia, nella logica evangelica di riconoscere in lui il volto di Cristo.

Ci si è fatti carico dell’iscrizione a scuola per i minori, delle cure sanitarie, dell’inserimento lavorativo, dell’assistenza per i documenti. Un impegno di solidarietà a cui hanno aderito e partecipano in molti».

Rispondendo alla raccomandazione di papa Francesco dopo la crisi in Afghanistan delle’estate 2021 «siamo riusciti a mettere in pratica dei percorsi positivi il nostro Rettor maggiore che ci ha invitato ad aprire le case – aggiunge don Francesco.

Ci siamo incontrati con il lavoro di Maria Grazia Mazzola che ha fondato una rete informale estesa con le Chiese evangeliche e enti del terzo settore per salvare dalla persecuzione queste persone di etnia hazara perseguitate dai Talebani.

Dai nostri amici afghani raccogliamo storie strazianti di parenti che sono stati uccisi con autobomba e di altre situazioni molto drammatiche.

Si parla molto poco di questa persecuzione perché ormai è stata cannibalizzata dal conflitto in Ucraina su cui si è concentrata negli ultimi mesi l’attenzione mediatica occidentale.

Papa Francesco ci ricorda che la guerra mondiale a pezzi nel mondo esiste e un pezzo importante è certamente in Afghanistan».