Non solo Ucraina, il dramma Tigray al vaglio del Consiglio Diritti Umani Onu

L'Etiopia starebbe cercando di bloccare l'inchiesta per non venire accusata di connivenza con l'esercito eritreo.

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E’ entrata nel vivo la 52esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite aperta a Ginevra il 27 febbraio scorso. 

Molti i temi all’ordine del giorno, decine le ‘revisioni periodiche’ sullo stato di avanzamento dei diritti umani nel mondo, che riguardano anche una parte dei 47 Paesi membri del Consiglio (13 sono africani, 8 latino-americani, 7 europei e sono eletti a rotazione).

Tra tutti spicca, oltre al documento sull’Ucraina (e un focus su Cina, Afghanistan e Mali), quello sul conflitto nel Tigray con le relative responsabilità degli eserciti etiopico e tigrigno (ma anche eritreo), nella violazione dei diritti umani al nord dell’Etiopia. 

«L’Ucraina è oggi in prima linea, ma non dimentico tutti i drammi umani di cui questo Consiglio si sta occupando – ha detto in apertura dei lavori Ignazio Cassis, capo del Dipartimento federale degli affari esteri svizzero – Osserviamo ancora un divario tra gli impegni presi dagli Stati e la realtà»

Il dramma della popolazione tigrigna è ben presente tra le pagine dei documenti in agenda e sarà discusso nella sessione dedicata ai Paesi dell’Africa orientale e Corno d’Africa il 7 marzo prossimo.

«Quanto alla pace nel Tigray – ci scrive don Angelo Regazzo, missionario salesiano ad Addis Abeba – le armi tacciono ma sembra non essere una pace duratura, perche’ le forze eritree sono ancora nel Tigray». 

Il punto in effetti è proprio questo: la guerra nel Tigray, ufficialmente terminata il 3 novembre 2022 con un accordo di ‘cessate il fuoco’ a Pretoria tra il Tigray People’s Liberation Front e il governo etiope, continua per via dello ‘sconfinamento’ di truppe eritree alleate degli etiopi.

Il mandato affidato ai soldati eritrei sembrerebbe quello di eliminare i guerriglieri del Fronte di Liberazione, attaccandoli nel loro stesso territorio per conto dell’Etiopia.

E proprio per bloccare l’inchiesta Onu delI’International Commission of Human Rights Experts on Ethiopia (ICHREE), in queste ore sarebbe in corso un tentativo di dissuasione da parte del governo di Addis Abeba. 

A lanciare l’allarme è anche Human Rights Watch che scrive al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite riunito a Ginevra:

«siamo allarmati per l’annuncio fatto lo scorso 15 febbraio dal vice primo-ministro d’Etiopia (…) che intende presentare una risoluzione alla sessione in corso a Ginevra dello Human Rights Council delle Nazioni unite per porre fine al mandato dell’ICHREE in Etiopia»..

Addis Abeba sosterrebbe una mozione che mira a concludere prima del tempo l’inchiesta sulle atrocità perpetrate nella regione del Tigray.

La notizia della bozza di mozione che gira tra i diplomatici è stata rivelata da un’anticipazione dell’agenzia stampa Reuters e confermata da diplomatici statunitensi.

«Non sia mai ci dovesse essere un’altra azione militare per costringere i militari a rientrare in Eritrea! Insomma qui da noi non è mai finita – dice ancora il salesiano – E chi ne paga le conseguenze è sempre la povera gente».

La guerra in due anni ha fatto circa 600mila vittime e ha ridotto alla fame la popolazione.

Proprio due giorni prima che fosse firmato il ‘cessate il fuoco’ altri 300 civili nel Tigray – tra i quali un bimbo di sette anni con sua mamma – sono stati ammazzati dalle truppe eritree in una decina di villaggi, come ritorsione per una sconfitta militare subita.

Gli stessi sopravvissuti al massacro lo hanno riferito ai funzionari delle Nazioni Unite, come riporta un approfondito report del Washington Post. (clicca qui)