Muri che separano, muri che uccidono

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Sempre più alti i muri, sempre più lunghe le recinzioni, sempre più profonde le fosse. Tutto quello che l’architettura della divisione contro i migranti è riuscita a realizzare in questi anni, non basta a raccontare l’orrore e la violenza.

 Muri per tenere lontana la parte più sventurata dell’umanità. Popolazioni aizzate contro lo straniero. Coste presidiate come se stesse per arrivare una invasione aliena.

«Si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani».

Così ha detto papa Francesco, lo scorso dicembre dall’isola greca di Lesbo, nella sua visita al Reception and Identification Centre di Mytilene, che ha sostituito il Mória Refugee Camp, il più grande campo profughi d’Europa fino al settembre 2020, quando fu distrutto da un incendio.

Anche il nuovo Centro come il vecchio è cinto dal fino spinato. Il papa è tornato a Lesbo più di cinque anni dopo la sua visita nell’aprile del 2016.

E nulla di fatto è cambiato, in quel mare diventato luogo d’ingiustizia, in quell’isola ridotta a recinto di dolore da governi e purtroppo da parti rilevanti di pubbliche opinioni che, consapevolmente o meno, si fanno sicari dell’uomo nella sventura

In tutto il mondo, ci sono migliaia di chilometri di muri eretti ai confini: da sei che erano nel 1989, quando tra esaltazioni a reti unificate e inni alla “democrazia vittoriosa” cadde quello di Berlino, oggi sono più di 70.

Alcuni sono eredità di conflitti irrisolti e incancreniti, ma i più sono strumento di quella guerra alla sventura che si suole chiamare questione migratoria.

Il più famoso è forse quello tra Israele e Territori palestinesi. Costruito nel 1994 e poi modificato e allungato, separa Israele dalla Cisgiordania e isola la Striscia di Gaza, cioè l’area con maggiore densità di abitanti al mondo, trasformandola in una prigione a cielo aperto, icona di tutti i campi profughi che ormai non è esagerazione retorica chiamare campi di concentramento.

Quasi altrettanto noto è il muro eretto dagli Stati Uniti alla frontiera con il Messico, prova visibile del pervertimento di una nazione che si proclama ormai arbitrariamente “terra dei liberi”.

Né mancano simili scelte a Sud del Messico, che a sua volta chiude le frontiere meridionali, o tra i diversi confini dell’America centrale e meridionale.

Non è da meno l’Europa, culla del diritto che ospita sempre meno nascite, e si pronuncia su arbitrarie attribuzioni del concetto di diritto umano, a partire da quello alla vita.

Migliaia di chilometri di muri sono stati eretti da quando nel 2015 si è intensificato il flusso di profughi e migranti nell’Unione europea, non tanto via mare dall’Africa, ma via terra lungo la cosiddetta Rotta balcanica.

Persino la Grecia, patria del diritto d’asilo, non usa il filo solo a Lesbo, ma ha costruito una barriera alla frontiera con la Turchia, per impedire il ripetersi di quanto accadde del 2015, quando la varcarono un milione di profughi mediorientali.

Al tempo stesso la Turchia – che per inciso l’Ue paga nella speranza che dismetta o almeno contenga l’uso spregiudicato di questi sventurati come arma di ricatto – dopo il muro lungo il confine siriano e iracheno, ha accelerato negli ultimi mesi, la costruzione di quello alla frontiera con l’Iran, meta della gran parte dei profughi afghani dopo il ritorno al potere dei Talebani a Kabul.

L’Iran, del resto, ha prolungato a sua volta lungo i 700 chilometri di confine con il Pakistan l’analoga barriera di 900 chilometri alla frontiera afghana, destinata a ostacolare il traffico di oppio ed eroina e le infiltrazioni di gruppi armati jihadisti.

Ma anche in questo caso, con l’arrivo dallo scorso agosto di 300mila profughi afghani nell’Iran che già ne ospita oltre tre milioni, dopo l’iniziale apertura, la situazione sta ora precipitando.

In una nazione stremata dalla crisi economica e dalle sanzioni, sommate all’emergenza del Covid, impossibilitata a rispondere da sola ai bisogni di tutte queste persone, le autorità avviato i respingimenti, rimandando oltre i confini decine di migliaia di rifugiati.

  (Questo articolo è l’apertura del dossier sui “Muri di Babele”, pubblicato su Popoli e Missione di febbraio, che presenta otto pagine di approfondimenti sulle barriere divisorie nel mondo).