Messico, padre Solalinde: “questa politica migratoria non è più tollerabile”

Il prete anti-narcos in esclusiva a Popoli e Missione

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Sono rimasti uccisi dalle fiamme nel Centro di raccolta di Ciudad Juarez 40 migranti provenienti da alcuni Paesi latinoamericani. Ne parla in esclusiva a Popoli e Missione padre Alejandro Solalinde Guerra, costantemente minacciato dai narcos e da sempre vicino ai migranti.

Il 27 marzo 2023 un incendio in un centro di detenzione per immigrati di Ciudad Juárez, in Messico, ha ucciso 40 persone, 19 del Guatemala, sette del Venezuela, altrettanti di El Salvador, sei dell’Honduras e un colombiano.

Tutti in fuga da Paesi dove la violenza dei narcos, la crisi economica e la corruzione sono all’ordine del giorno.

I migranti erano sotto la responsabilità del governo messicano e, per questo, il sacerdote Alejandro Solalinde Guerra chiede da allora le dimissioni del capo dell’Istituto nazionale della migrazione (Inm) del Messico, Francisco Garduño Yáñez.

«Deve dimettersi perché sin dalla sua creazione l’Inm è stato gestito da agenti per lo più corrotti che vedono i migranti come merce, senza curarsi dei loro diritti e della loro vita» ha denunciato il prete, da anni minacciato dai narcos per la sua difesa dei diritti umani.

«Le autorità per l’immigrazione non hanno idea dello stress in cui vivono le persone da quando lasciano i loro Paesi, rischiando la vita, percorrendo migliaia di chilometri.

Quando stanno per raggiungere la loro meta, sono arrestati, imprigionati e minacciati di deportazione».

Solalinde ha ragione.

Dai video diffusi delle telecamere a circuito interno del centro di detenzione si vede infatti che quando i migranti hanno chiesto disperatamente aiuto, con le fiamme già alle loro spalle, nessuna delle guardie ha aperto loro le porte delle celle, condannandoli di fatto a morte.

Alcuni di loro erano stati addirittura ammanettati. “Li hanno uccisi” hanno titolato i principali giornali di Honduras, Guatemala, El Salvador e Messico.

«Questa politica non è più tollerabile» denuncia il sacerdote che, per questo, ha chiesto al presidente Andrés Manuel López Obrador, Amlo come tutti lo chiamano, di sostituire l’Inm con un coordinamento composto dal ministero dell’Interno, degli Esteri, centri di accoglienza per migranti, accademici, Commissione messicana per l’aiuto ai rifugiati e Guardia nazionale.

Vedremo che succede anche se al momento Francisco Garduño Yáñez continua a restare al suo posto e Solalinde si sfoga:

«Non possiamo permettere accadano altre tragedie di migranti che muoiono abandonati nei vagoni dei treni, nei rimorchi dei camion, rapiti o brucati vivi».

Come a Ciudad Juárez, città simbolo della migrazione, separata da El Paso, in Texas, appena da un ponte.

Proprio qui venne papa Francesco nel 2016 per celebrare una storica messa al confine, rivolgendosi proprio ai migranti, oggi in maggioranza centroamericani e venezuelani, che soffrono e troppo spesso muoiono per inseguire il “sogno americano”.

Non a caso, appena saputo della tragedia, poco prima di essere ricoverato al Policlinico Gemelli il 29 marzo scorso, papa Francesco aveva chiesto di pregare per i 40 migranti uccisi, molti dei quali espulsi dagli Stati Uniti grazie al Titolo 42, una misura straordinaria introdotta all’inizio della pandemia da Trump ed eliminata da Biden solo l’11 maggio di quest’anno, quando l’emergenza Covid era finita da oltre un anno a Washington.

Il sogno americano oggi è valido più che mai in America Latina e nei Caraibi, che sono «la più grande polveriera sociale del pianeta», secondo Daniel Lozano, giornalista sempre molto attento alle questioni migratorie che scrive per il giornale spagnolo El Mundo e per l’argentino La Nación.

La chiusura del confine per la pandemia ha reso il più difficile possibile il cammino dei migranti e il loro dramma è oramai diffuso in tutto il confine settentrionale del Messico, dove vivono in squallidi campi o in centri di detenzione come quello di Ciudad Juárez.

Solo la Chiesa sta facendo di tutto affinché, dopo l’eliminazione del controverso Titolo 42, il governo statunitense implementi un nuovo piano sull’immigrazione che tenga conto dei diritti umani di chi è in cammino, oltre ad aiutare a combattere la violenza, la corruzione e a superare la crisi economica i Paesi da cui fuggono.

Come dice da sempre papa Francesco, infatti, «i migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati» ma esiste anche «il diritto a non emigrare». (continua)

(Il reportage per intero è stato pubblicato sul numero di giugno di Popoli e Missione, in uscita. Per richiederne una copia: redazione@popoliemissione.it)

(Foto Afp copyright Popoli e Missione)