L’unità dell’Africa riparte dalla Sanità pubblica: “una nuova governance, la lezione del Covid”.

Intervista a Nicoletta Dentico, attivista, giornalista ed esperta di politiche sanitarie globali.

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Il Continente africano, dal punto di vista sanitario, attraversa una fase di slancio post-pandemico che in qualche modo l’ha unito, dandogli grande forza strategica.

«L’Africa è ad un bivio: deve decidere se continuare a dipendere totalmente dai donatori internazionali, almeno dal punto di vista sanitario, o se prendere consapevolezza della propria forza e del proprio potenziale: una visione nata proprio durante il periodo del Covid».

A parlarci di un’ inattesa rinascita africana e di nuova governance del continente è Nicoletta Dentico, attivista e giornalista, consulente dell’Oms e autrice di diversi saggi in materia di sanità pubblica nei Paesi in via di sviluppo.

Il continente è ad un passo dalla scelta di «strutturare a new public health order, ossia un nuovo ordine di Sanità pubblica che riecheggia molto il “Nuovo ordine economico internazionale” degli anni Settanata», dice Dentico. 

«Quella africana è una sana aspirazione ad una autodeterminazione sanitaria per definire le priorità e dare forza e slancio ai suoi professionisti e alle sue comunità locali», ci spiega ancora nel corso dell’intervista l’attivista rientrata d Kigali.

A dicembre scorso si è svolto il vertice africano di Africa Cdc, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie dell’Unione africana.

«Io credo che noi occidentali e noi italiani nello specifico, dobbiamo smetterla di guardare all’Africa come ad un continente sfortunato», afferma con convinzione Dentico.

«Ma è invece necessario – dice – cominciare a renderci conto di quanto vale. Questo decisamente è il momento dell’Africa!».

Non dimentichiamo che l’Africa «ha pagato e paga un prezzo pesante per le conseguenze del Covid, più che dal punto di vista sanitario, da quello sociale, economico e della repressione della libertà – spiega l’attivista – L’aver bloccato l’economia informale, la scuola, e aver impedito a migliaia di persone di scendere per strada a svolgere le loro attività commerciali, questo è stato il problema degli anni del Covid».

Gli effetti dello shock economico della pandemia in Africa si stanno vedendo ora: ma è proprio questa esperienza così forte che i Paesi africani hanno vissuto e che li ha spaventati (nonostante non si sia verificata per fortuna una ecatombe di morti), ad aver accelerato il percorso di unione ed autodeterminazione.

«C’è una visione, un tentativo forte di fare sistema – dice ancora Dentico – che vede l’Unione africana, Africa Cdc e la Banca per lo sviluppo africano, finalmente unite, per una risposta condivisa.

Bisogna comunque vedere se l’Occidente glielo consentirà fino in fondo, perché se i Paesi che noi vorremmo dipendenti, sono troppo autodeterminati la loro autodeterminazione è percepita da noi come un rischio: potrebbe interrompere la dipendenza dal Nord del mondo».

L’emergenza Covid è stata per i Paesi africani, dal Sudafrica allo Zambia al Mozambico al Ghana, una prova di collaborazione ed efficacia nell’emergenza:

«non dimentichiamo che dal marzo al dicembre 2020 i capi di Stato africani si sono incontrati ben 12 volte! E questo ha consentito una risposta coordinata e vincente».

In ogni caso oggi il percorso da compiere è ancora lungo e accidentato: il sistema sanitario africano resta fragile e molto carente.

Nel giro di tre anni ci sono state nel mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 15 milioni di morti aggiuntive.

Anche se è sparito dall’agenda mediatica il riferimento ai vaccini e al sistema sanitario: «la situazione degli ospedali in Africa resta drammatica e la sanità non è stata mai potenziata. L’accesso ai vaccini per il Sud del pianeta è un nodo irrisolto», ci racconta Dentico.

I Paesi a basso reddito sono quelli più colpiti: «la disuguaglianza, anche nell’accesso ai vaccini, coincide con una distribuzione diseguale delle vittime da Covid-19».

Il maggior numero di vittime si è avuto nell’Asia del Sud, in Nord Africa e Medio Oriente.

Non scordiamo, suggerisce Dentico, «quella che resta una definizione oramai storica: ‘apartheid vaccinale’ come lo ha chiamato il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa”.

Ricordate Covax? Quel complicato meccanismo di donazioni di vaccini, guidato da fondazioni e agenzie della Nazioni Unite?».

Ci chiede l’attivista. Ecco, «quel sistema non ha funzionato come si deve e la vaccinazione in Africa si è praticamente fermata per via del nostro egoismo occidentale».

Se ci fosse una nuova ondata pandemica i Paesi poveri sarebbero come al solito a rischio.

In questo summit ruandese si è discusso proprio delle possibili soluzioni per potenziare la sanità in modo più svincolato dal resto del mondo: per farlo servono certamente più fondi pubblici ma anche una “visione”. E questa vision l’Africa orgogliosamente la sta mettendo in campo.

Per queste ragioni bisogna continuare a lavorare per migliorare l’intero sistema e non solo correre ai ripari nel momento in cui si presentano virus come Ebola (che peraltro sta comparendo nuovamente dal Congo al Gambia) o come il Covid.

La realtà è che l’Africa ha bisogno di investimenti mirati e di continuare a puntare sulla cura e sulla routine della cura. Perché si muore ogni giorno, e per malattie anche molto più banali del Covid, come il morbillo o normali influenze.