Libano: tra crisi economica e violenza, nuove tensioni e timori

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«Stavolta siamo veramente sull’orlo di una nuova guerra civile, la tensione è alle stelle e potrebbe bastare un niente per scatenare un altro inferno».

A parlare con Popoli e Missione è suor Mirna Farah, religiosa libanese delle suore di Santa Giovanna Antida Thouret, a Roma per il capitolo generale della sua congregazione.

Dopo i disordini e la devastante violenza di ottobre scorso, proprio nei luoghi dove la guerra civile ebbe inizio nel 1975, la paura è il sentimento dominante a Beirut. 

«Hasan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha confessato in diretta televisiva di avere 100mila combattenti pronti a difendere il Libano, minacciando in maniera neanche velata i falangisti cristiano maroniti di Samir Geagea, accusati del massacro della settimana precedente a Beirut».

Nelle strade della capitale libanese Hezbollah protestava contro Tarek Bitar, il giudice che sta indagando sullo scoppio al porto di Beirut e che ha emesso un mandato nei confronti di Ali Hassan Khalil (ex ministro delle finanze ed esponente del movimento sciita Amal), quando raffiche di kalashnikov hanno lasciato a terra una decina di persone, facendo ripiombare il “Paese dei cedri” sull’orlo del baratro.

C’era voluto oltre un anno di trattative per ridare al Libano un nuovo governo, ma ad appena un mese dall’istaurazione dell’esecutivo del miliardario sunnita Najib Mikati, le speranze di normalizzazione sono di nuovo al lumicino.

«Quello che è successo lo scorso anno ci ha fatto piegare la testa – racconta suor Mirna, che a Beirut dirige la scuola della sua congregazione –. L’esplosione al porto, che ha ucciso oltre 200 persone e distrutto mezza città, ha rotto ogni legame che la popolazione aveva con il Paese legale, e anche i giovani, che avevano guidato le proteste nell’ottobre 2019, hanno perso le speranze di poter cambiare il Libano».

Non funziona più nulla

Con le lacrime agli occhi la suora racconta “l’inferno” che si vive quotidianamente: il tracollo del sistema economico, il default di quello finanziario dichiarato dal governo nel marzo 2020, l’impasse della politica, la distruzione delle infrastrutture, la miseria.

«Il 78% della popolazione vive, oramai, sotto la soglia di povertà e sono sempre di più i bambini che vanno a letto con la fame, abbiamo l’elettricità per quattro ore al giorno e ovunque manca il carburante.

Non funziona nulla, le ambulanze non possono circolare, gli ospedali sono al collasso, la gente non sa come vivere, scarseggiano medicine e cibo, non si vede una via di uscita».

Stando così le cose, le riforme richieste dal Fondo Monetario Internazionale per concedere i suoi aiuti sono una chimera. Impossibile pensare ad interventi radicali nel settore energetico, infrastrutturale e bancario con un governo completamente paralizzato.

La Banca Centrale, che prima aveva bloccato il cambio con il dollaro ad una parità lontana da quella praticata sul mercato finanziario (facendo lievitare il debito pubblico fino al 170% del Pil) ha poi iniziato a prendere soldi dalla Banca Mondiale e a girarli a quelle commerciali perché li prestassero alla Stato, una politica monetaria azzardata e poco chiara, considerate anche le differenze dei tassi di interesse in gioco.

«Il Libano è una realtà del tutto eccezionale in Medio Oriente, una nazione dove la convivenza tra le confessioni religiose è all’ordine del giorno – racconta Suor Mirna ritrovando un sorriso -.

E’ un Paese in cui non esistono estremismi e dove i musulmani non si fanno problemi a mandare i figli nelle scuole cristiane, sia ortodosse che cattoliche, dove i giovani escono insieme, ognuno col proprio simbolo religioso addosso.

Questa è la vera ricchezza del Libano. Il Paese dovrebbe essere il laboratorio di una nuova umanità dove poter vivere gli uni accanto agli altri. La società multiculturale agognata da tanti da noi è realtà».

Stato multiconfessionale

Una convenzione costituzionale, siglata in maniera informale nel 1943, prevede che il presidente della repubblica libanese sia un cristiano maronita, il primo ministro sunnita ed il presidente del parlamento sciita. Anche gli incarichi amministrativi sono suddivisi tra le differenti confessioni religiose (17 quelle riconosciute dallo Stato) secondo un meccanismo predeterminato di quote.

Le funzioni pubbliche devono essere divise al 50% fra i cristiani ed i musulmani, ma essendo i primi solo il 35% della popolazione, un 15% di cariche viene delegato ai secondi, i quali però non possono prendere nessuna decisione, un sistema unico al mondo che ha favorito la corruzione e bloccato il Paese.

Il Libano che ha raggiunto la fratellanza del sangue, vive anche l’accoglienza dello straniero.

Profughi palestinesi e siriani continuano a trovare, in questa piccola striscia di terra, riparo da guerre e persecuzioni.

Il confine con la Siria è notoriamente controllato dai miliziani di Hezbollah ed i siriani entrano liberamente, ma qui trovano solidarietà e convivenza, tanto che rifugiati e migranti costituiscono oggi un terzo della popolazione del Paese (due milioni di persone su sei).

Molti commentatori ritengono che a soffiare sul fuoco libanese siano coloro che non osano attaccare direttamente l’Iran per il suo programma nucleare.

Certo è che il disegno di Hezbollah di creare una “mezzaluna sciita” – o un “croissant fertile” per dirla alla francese -, che dal Libano si allunghi attraverso Siria, Iran e parte dell’Iraq, dà fastidio a molti, e tanti sono interessati al suo indebolimento, da Israele e gli Stati Uniti, che appoggiano i falangisti cristiani, fino agli Emirati Arabi e all’Arabia Saudita, sponsor questi ultimi dei sunniti. Un ginepraio in cui nessuno sembra intenzionato a mettere le mani.

(Una versione estesa di questo articolo è stata pubblicata sul numero di dicembre di Popoli e Missione)