La guerra d’Etiopia e le “narrazioni divergenti”, pro e contro Abiy

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Quella di Etiopia è stata (e in parte è ancora) una guerra «molto mediatizzata». Uno dei casi più eclatanti di utilizzo «dei social media come strumento di guerra».

E’ difficile ricostruire i fatti in un contesto simile: tanto che la «prima vittima del conflitto sembra proprio essere la verità».

A dirlo sono due esperti di mondo africano, Dagmawi Ymer, regista e documentarista etiopico, e Luca Puddu, africanista, docente della Scuola Superiore Meridionale dell’Università Federico II di Napoli.

Ma anche padre Giuseppe Cavallini, comboniano, direttore di Nigrizia, che però si è espresso nettamente in favore di Abiy Ahmed.

La difficoltà a capire cosa sia realmente avvenuto al fronte, e come si siano mossi esercito etiopico e ribelli del Tplf, alimenta due “narrazioni divergenti” circa il conflitto. 

La prima vede nel premier Abyi Ahmed una vittima dei tigrini, («non aveva motivo per scatenare una guerra», dice padre Cavallini); la seconda invece attribuisce al Premio Nobel Abiy gran parte della responsabilità per la ferocia della reazione mostrata nel Tigray.

«Una parte della narrazione ha prevalso: ci sono stati eserciti digitali che hanno pre-impostato una guerra digitale- ha spiegato Ymer – E questo ha influenzato moltissimo l’opinione pubblica internazionale».

I relatori sono intervenuti ad un dibattito dei Martedì del mondo, organizzato ieri da Nigrizia.

«All’inizio il premier faceva discorsi in amarico, direi quasi ‘evangelici’ – ha detto padre Cavallini – : parlava di unità, conciliazione e di un’Etiopia nuova. I tigrini si sono convinti che avesse un piano per distruggere la Federazione, e per centralizzare di nuovo il potere, come fu sotto dittatura. Interpretarono il ‘programma’ di Ahmed come autocrazia, ma io non credo affatto che fosse così: Abiy Ahmed non aveva alcun motivo per scatenare una guerra».

Inoltre, secondo padre Cavallini, «c’è stata attenzione (da parte dell’esercito ndr.) a non attaccare le strutture ecclesiastiche».

Di segno opposto l’interpretazione dello storico Luca Puddu: «Io ho uno sguardo cinico – ha detto – : non vedo una parte buona e una cattiva in questo conflitto.

Rispetto le opinioni di padre Cavallini, ma credo che ci siano due parti che si contendono il controllo del Paese. Hanno governato insieme il Paese fino alla fine del 2019».

Ma le fazioni nette, con visione duali, come ha osservato la moderatrice Jessica Cugini, giornalista di Nigrizia, non aiutano nella comprensione.

«La narrazione del Tplf sulla presunta centralizzazione del potere non è credibile. Sappiamo inoltre che la crisi umanitaria non deve essere una scusa per agevolare un cambio di regime», ha aggiunto Dagmawi Ymer