La Cina e il buco nero delle sparizioni forzate

Facebooktwitterlinkedinmail

La sparizione forzata della tennista cinese Peng Shuai è solo l’ultima di quelle note e riportate dai media internazionali.

Secondo Safeguard Defenders, ong spagnola che si occupa di diritti violati in Asia, ogni anno in Cina sparirebbero dalle quattromila alle cinquemila persone.

E non in campi di lavoro, ma nelle cosiddette RSDL, Residential Surveillance at Designated Location, segrete stanze d’hotel, appartamenti, ospedali psichiatrici, dove dal 2012 sono imprigionati coloro che minerebbero la sicurezza nazionale.

Le RSDL discendono dalle prime residenze sorvegliate del 1954, ufficialmente create per detenuti gravemente malati, donne incinte e neomamme, ma di fatto usate per individui accusati di corruzione e dissidenti.

Con Xi Jinping, proprio dal 2012 segretario generale del Partito comunista cinese e capo della Commissione militare centrale, e dal 2013 presidente della Repubblica Popolare, sono tornate tragicamente in auge.

In questi buchi neri sono finiti – senza un equo processo e la possibilità di comunicare con avvocati e famigliari – scrittori, attivisti, sindacalisti, giornalisti, studenti, femministe. Lo scorso settembre è sparita anche Huang Xuequin, giornalista e promotrice del #MeToo in Cina.

Nel 2017 aveva denunciato gli abusi di un professore universitario, dando inizio a una catena di altre accuse in tutto il Paese.

Per Reporters Sans Frontières, Pechino è il più grande persecutore di giornalisti al mondo, con attualmente 127 detenuti.

Tra loro, Zhang Zhan e Fang Bin, che due anni fa hanno documentato lo scoppio dell’epidemia da Covid-19 a Wuhan.

Ha dichiarato la ricercatrice cinese di Human Rights Watch, Wang Yaqiu: «Il numero di casi simili è immenso.

Nemmeno io riesco a calcolarlo. È il mio lavoro, ma non sono in grado di ricordare tutte queste persone».

E aggiunge, in un articolo del network ABC australiano: «Mentre ci si chiede #WhereisPengShuai, molti altri scomparsi non stanno ricevendo la stessa attenzione dalla comunità internazionale».

E su Peng aggiunge: «Finché vivrà in Cina, di sicuro non potrà più essere libera di muoversi e di esprimersi».