Iran-Israele: il mondo col fiato sospeso, Onu e Usa all’opera

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Il mondo col fiato sospeso.

Il futuro del Medio Oriente (e forse anche il nostro) restano nelle mani della capacità dissuasiva di Joe Biden.

E del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che Israele chiama in ballo affinché punisca Teheran con le sanzioni e una condanna per atti di terrorismo. (Clicca qui)

Queste sono ore concitate di colloqui e uso della diplomazia, nel tentativo (dall’esito per nulla scontato) di convincere Netanyahu a non procedere con una escalation militare.

Ne’ ora né in futuro.

Dopo l’attacco israeliano al consolato iraniano in Siria, e la risposta dell’Iran, con i droni su Israele, la guerra di Gaza è ad un passo dal conflitto regionale.

“Il nostro scopo è far retrocedere le tensioni regionali ed impedire che la guerra Israele-Hamas a Gaza si estenda”, ha dichiarato oggi un funzionario americano al Washington Post. (Qui)

Un nuovo esteso conflitto “coinvolgerà l’Iran, diversi gruppi ad esso legati e forse, persino, l’esercito americano?”.

Se lo domanda il quotidiano online statunitense Vox Media, che scrive: “sei mesi dopo il 7 ottobre il quadro è variegato.

I ribelli Houthi sostenuti dall’Iran in Yemen hanno giocato nel conflitto un ruolo molto più esteso di quanto gli osservatori pensassero, fino all’invio di una spedizione internazionale marittima densa di significato”.

Per fare chiarezza e mettere in fila i fatti, ricapitoliamo quanto accaduto finora.

Il primo aprile scorso, giorno di Pasquetta per i cristiani, “aerei militari israeliani – ricorda Vox – hanno condotto un attacco aereo su Damasco, in Siria, uccidendo un generale senior iraniano, Mohammad Reza Zahedi, profondamente coinvolto nelle attività del suo governo in Siria e Libano”.

Il primo vero attacco ‘personale’ all’Iran dai tempi del generale Qassem Soleimani, comandante delle Guardie della Rivoluzione Islamica, ucciso dagli Usa il 3 gennaio del 2020 in Iraq.
Quest’ultima aggressione da parte di Israele, per di più in concomitanza con l’atroce raid aereo su tre auto cariche di aiuti umanitari e cibo della Ong americana World Central Kitchen a Gaza, ha determinato un pesante cambio di passo nel conflitto in corso.
E il mondo ha iniziato a lanciare preoccupati alert, raddrizzando le antenne. Per la prima volta da mesi si sono manifestati presagi foschi.

Eppure, come fa notare il sito delle Nazioni Unite Press.un.org la reazione mondiale è stata quella di affilare i coltelli, anziché favorire la de-escalation.

L’unica vera alternativa in realtà starebbe in un cessate-il-fuoco permanente, che abbassi i toni, dice l’Onu.

Ma eccetto il Vaticano non ci sono stati fino ad un momento prima della reazione dell’Iran, Paesi che abbiano invitato davvero a deporre le armi, se non forse gli Usa.

Basta con la guerra, basta con gli attacchi, basta con la violenza.

Sì al dialogo e sì alla pace”, ha detto Papa Francesco domenica scorsa all’Angelus.

Mentre Omar Ashour, su Middle East Eye si domandava: “Hezbollah è pronto per una guerra a tutto campo con Israele?”.

La risposta non è rassicurante.

Il resto del mondo occidentale, sconvolto per l’uccisione dei sette operatori umanitari internazionali a Gaza, il 2 aprile scorso, ha manifestato sdegno e dolore e maggior presa di coscienza degli orrori commessi da Israele.

“Nonostante avesse coordinato i propri spostamenti con l’IDF – hanno scritto i portavoce della charity americana World Central Kitchen in un comunicato – Il convoglio è stato colpito appena lasciato il magazzino dove aveva scaricato oltre 100 tonnellate di cibo e aiuti per Gaza, lungo la via del mare”.
L’Associated Press ha riferito le parole del premier Benjamin Netanyahu subito dopo la tragedia: “un colpo non voluto” (un “unintended strike” in inglese), sul quale si indagherà meglio, abbattutosi contro “persone innocenti”, ha detto Bibi.

In futuro ci si adopererà per “evitare che avvenga nuovamente”.

Ammettendo dunque la responsabilità dell’esercito israeliano sui civili di una Ong umanitaria.

Cipro ha giocato un ruolo fondamentale per l’apertura di un canale marittimo destinato all’arrivo di navi-convoglio umanitarie con scorte di cibo per Gaza.

Il 30 marzo scorso tre di queste imbarcazioni erano salpate da un porto cipriota con a bordo 400 tonnellate di beni alimentari destinati ad un popolo ridotto alla fame.

Ma alcune navi erano state costrette a tornare indietro con 240 tonnellate di aiuti non consegnati per via delle difficoltà delle navi ad approdare.

Il Medio Oriente era già in fiamme e sarebbe stato saggio prenderne atto prima che l’incendio divampasse.