In Sudan si continua a morire, anche l’oro al centro della guerra

Fallito per ora il tentativo di negoziato per la tregua a Gedda, in Arabia Saudita.

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Nonostante gli incalzanti tentativi di negoziato finalizzati al ‘cessate-il-fuoco’ (l’ultimo dei quali questo fine settimana), in Sudan si continua a combattere e a morire.

A Gedda, Arabia Saudita e Usa hanno tentato di far dialogare due rappresentanti dei rispettivi eserciti in guerra, ma finora senza grandi risultati.

Si patteggia per l’emergenza: apertura di corridoi umanitari e cessate il fuoco.  Ma neanche questo obiettivo minimo sembra al momento possibile.   

Oltre 500 persone sono state uccise e 4mila ferite dal 15 aprile ad oggi. Circa 60mila persone hanno lasciato Khartoum e aumenta il flusso di sfollati verso il Ciad e il Sud Sudan.

Il rischio di una crisi umanitaria regionale senza precedenti è già una realtà. (clicca qui)

«Ho passato la notte nel panico, incapace di lasciare casa mia, mentre la gente veniva ammazzata ovunque», ha raccontato agli operatori umanitari delle Nazioni Unite, Arafa, una ragazza di 25 anni scappata infine dalla capitale Khartoum e soccorsa dalle agenzie umanitarie.

Ahmed al-Amin, un uomo che vive a Haj Yousif distretto a in nordest di Khartoum ha detto all’AFP domenica scorsa di aver visto «jet da guerra passare sopra le teste della gente e di aver sentito il rumore delle forze anti-aereo».

La situazione rischia di farsi insostenibile anche ai confini, soprattutto in Ciad e Repubblica Centrafricana, Paesi che non possono sostenere un arrivo in massa di rifugiati.

Nonostante tutto i due generali rivali Fattah al-Burhan, a  capo dell’esercito e Hemedti delle Rapid Support Forces, non accettano tavoli negoziali e mediazioni.

Hanno ripetutamente detto di voler rispettare una tregua di alcuni giorni per consentire l’invio di convogli umanitari, ma non hanno poi tenuto fede all’impegno preso.

Anche per via dell’incapacità di tenere sotto controllo i rispettivi militari, sembrerebbe.

Eppure i due ‘signori della guerra’ (un tempo alleati), appena un mese fa stavano negoziando un accordo all’interno di una road map vidimata dalle Nazioni Unite per consentire al Sudan il transito verso la democrazia.

Cosa è successo per interrompere bruscamente ogni accordo?

Una delle questioni più spinose – oltre all’assorbimento dei paramilitari nell’esercito nazionale – riguardava le miniere d’oro. (clicca qui)

Nel 2022 la produzione d’oro sudanese ha raggiunto il record di 18mila tonnellate e 611 kili, superando la produzione del 2019.

Con l’oro è possibile fare affari anche con le potenze estere, naturalmente.

Un’inchiesta della CNN del luglio 2022 spiegava che la Russia, tramite il suo famigerato gruppo Wagner, aveva messo in piedi un sofisticato sistema di “approvvigionamento” di oro dal Sudan che sarebbe servito a finanziare tra l’altro la guerra in Ucraina. (clicca qui)

«In cambio Mosca garantiva il proprio sostegno all’impopolare leadership militare del Paese», dice la CNN.

 All’interno della lotta di potere tra i due generali e i rispettivi eserciti si inserisce dunque la presenza dei russi.

Un report pubblicato un anno fa dalla organizzazione no profit Organised Crime and Corruption Reporting Project, svelava in dettaglio come il Gruppo Wagner (che oggi sembra essere più legato ai paramilitari del generale Hemedti), nel corso degli anni, abbia in realtà fatto transitare armi verso il regime sudanese già dai tempi di Al-Bashir, in cambio di un accesso privilegiato all’industria mineraria.

Il Sudan – terzo Paese più grande d’Africa dopo Congo e – è anche il terzo maggior produttore d’oro, dopo Ghana e Sudafrica.

La legge obbliga però, come spiega molto bene il sito di inchieste di Radio France International, tutte le compagnie minerarie straniere a garantire a Khartoum il 30% delle quote in modo tale che il governo possa godere di grossi benefici dalle estrazioni d’oro.

Questo non avveniva però con le miniere operate dall’impresa multinazionale M Invest, strettamente legata al Gruppo Wagner.

Dal 2020 qualcosa è andato storto e la relazione speciale con il regime e poi con i governi di transizione è saltata. Ma i mercenari russi sono rimasti.

E oggi sostengono i paramilitari.

Resta il dubbio se effettivamente i “wagneriani” stiano combattendo sul campo in questi giorni al fianco delle Forze di Resistenza.

Anche se, come scrive il sito di Analisi Difesa, si sono incrociate notizie di segno opposto al riguardo: «Prigozhin, (il capo del gruppo Wagner ndr.) ha negato decisamente «la presenza di miliziani della compagnia in Sudan da più di due anni».

Ma da Londra, la testata i-News ha riportato che «mercenari della Wagner sono stati visti pattugliare il porto strategico di Porto Sudan, sul Mar Rosso».