In Sud Sudan tra bambini-soldato, rapimenti e riti vudù delle milizie armate

Il racconto di una comboniana che vive a Malakal, suor Elena Balatti.

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«Io mi trovo qui in Sud Sudan da parecchi anni e vivo come missionaria in una zona dell’alto Nilo, a Malakal, ma ora sino venuta a Juba per assistere alla visita ecumenica del Papa».

A parlarci dalla capitale del Paese africano in procinto di ricevere la delegazione pontificia, è suor Elena Balatti, missionaria comboniana.

«Domani, secondo giorno di visita, il Santo padre sarà nel campo per sfollati interni vicino a Juba e qui vedrà molte delle persone (sono migliaia in totale), che hanno dovuto abbandonare i loro villaggi per via della guerra e della fame».

La missionaria precisa che grazie all’impegno delle Nazioni unite «ci saranno anche delegazioni consistenti che vengono dal campo più grande del Paese e da quello di Malakal:

io incontrerò il Papa proprio durante questo evento e penso proprio che lo ringrazierò per avere sempre richiamato il mondo ad essere attento a chi vive nella povertà, ossia la maggior parte dell’umanità!»

Personale dell’ospedale comboniano di Nzara/Missio

Il Sud Sudan, Paese relativamente giovane, nato nel 2011 dalla separazione dal Sudan è ricchissimo di risorse ma molto impoverito e decisamente diseguale nella distribuzione del reddito.

Suor Elena ci spiega che «le ricchezze del sottosuolo sono ingenti: oltre al petrolio, che qui non ha portato nulla di buono, ci sono vari giacimenti di oro e poi c’è del gas naturale.

Si comincia a profilare uno scenario molto simile a quello del Congo».

Secondo Elena Balatti «l’aspetto ecumenico della visita del Papa è importantissimo per preparare la pace vera: per la prima volta il capo della Chiesa cattolica e quello della Chiesa anglicana compiono un viaggio insieme in Africa: dal punto di vista ecumenico questo è un atto fondamentale».

«I leader del Paese, (il presidente Silva Kiir e il suo ex antagonista Riek Makar ndr.), intendono ricambiare l’ospitalità ricevuta nel 2019 in Vaticano, quando vennero accolti dal Papa che baciò loro i piedi, e lo faranno in modo sincero: stanno preparando l’accoglienza al Pontefice nel migliore dei modi possibili».

La missionaria ci spiega che addirittura «una strada è stata asfaltata appositamente per consentire alla delegazione di passare in auto dall’aeroporto alla nunziatura, e questa via è stata ribattezzata con il nome di ‘Pope Francis road’.».

Per il popolo del Sud Sudan questo viaggio vuol dire quasi tutto, le aspettative sono molto alte:

Crediti Annechini

«La gente comune si aspetta che lui venga per favorire e stimolare il processo di pace che procede davvero a rilento: ci sono ancora troppe sacche di conflitto».

Dice suor Balatti «gli scontri tra milizie sono motivati da varie questioni: anzitutto il controllo del potere sul territorio.

Nella maggior parte dei casi l’appartenenza etnica è cruciale: ci sono 64 gruppi etnici e tra i maggiori gruppi c’è una forte conflittualità.

Purtroppo quando andrà via il papa, a meno di un miracolo, si prevedono ancora scontri armati.».

L’appartenenza religiosa delle milizie non è islamica: sono tutti di matrice cristiana, appartenenti a varie denominazioni, e in parte praticano anche religioni tradizionali animiste «che prevedono purtroppo – ci spiega suor Balatti – riti legati agli spiriti negativi e al vudu».

Molti sono anche i bambini-soldato  «senza addestramento militare che non hanno coscienza di quello che fanno e degli effetti della loro azione, sono perciò forse anche più pericolosi degli adulti».

Anche in Sud Sudan è frequente la pratica dei rapimenti «soprattutto di ragazzi e giovani donne: è diventata una costante», dice suor Balatti.

«Ci sono ancora alcuni gruppi di minori e donne trattenuti dai ribelli: qualcuno è stato rilasciato, altri no. Lo sfruttamento delle donne è in gran parte a sfondo sessuale», dice ancora la missionaria.

La missione di Francesco nel Paese ha anche lo scopo di dare visibilità a queste aberrazioni e di contribuire a far luce sulle motivazioni.

 

(La foto in apertura è di Paolo Annechini/ Sud Sudan)