I bambini di Rita, figli del Malawi

Storia di una missionaria laica da Bergamo all'Africa

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Si è parlato molto, nei mesi più drammatici della pandemia di Covid-19, della forza di volontà dei bergamaschi, tra i più colpiti dal virus in Italia, della loro capacità di rialzarsi anche dopo le prove peggiori, così come si è parlato della loro generosità, spesso radicata in solidi valori cristiani.

Se servisse un’icona che racchiude tutto questo la si può trovare a migliaia di chilometri di distanza, in Malawi.

Rita Milesi, classe 1943, lecchese di nascita ma cresciuta a Bergamo, ultima di 16 figli, vive in uno dei Paesi più poveri del mondo, facendo da 46 anni quello che sa fare meglio: occuparsi dei bambini.

È la sua passione/missione fin dai tempi in cui, poco più che ventenne, lavorava come educatrice presso l’asilo nido di Dalmine e poi come puericultrice all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia.

Nel 1974 la partenza per l’Africa, come volontaria laica del Centro laici per la missione (Celim), che la invia in un ospedale in Malawi come infermiera infantile.

Nel nulla di un Paese che, alla cronica povertà e a malattie “ordinarie” come il colera e la malaria, vede aggiungersi dagli anni Ottanta la piaga dell’Aids, Rita porta il suo spirito organizzativo e soprattutto il suo grande amore per i più piccoli, in particolare per gli orfani, numerosissimi in un Paese dove la mortalità per parto è a livelli record.

«Noi non andiamo a cercarli i poveri – ha raccontato in una recente intervista a Radio Vaticana – perché sono fuori casa nostra. Ce li portano i familiari. Oppure li troviamo nei posti più disparati, sui cigli dei sentieri o sotto i cespugli. Li curiamo, e quando arrivano ai tre anni li riconsegniamo ai parenti, se sono rintracciabili. Se non c’è proprio nessuno, troviamo delle famiglie attraverso i servizi sociali e facciamo le adozioni».

Nelle parole di Rita Milesi anche il racconto di un percorso costruito negli anni.

Prima di arrivare a organizzare un sistema strutturato di accoglienza, istruzione e adozioni, questa donna magrissima ma estremamente energica ha sperimentato la chiusura dell’ospedale dove lavorava, alcuni mesi vissuti in una capanna nella povertà estrema, lo spostamento in Brasile e in Costa d’Avorio e poi finalmente il ritorno nell’amato Malawi, dove – grazie all’eredità dei genitori e a tanti benefattori bergamaschi – ha fondato l’Alleluya Care Center.

Attraverso il Centro, che sorge a Mangochi, si calcola che Rita abbia salvato almeno 2.500 bambini. Come per la bambina che porta il nome di Bakhita: «L’abbiamo trovata sotto le piante di banane – racconta -. Rischiava di essere uccisa perché sembrava un coniglio. A sei mesi l’ho portata in Italia, a Bergamo, per farla operare al cuore. Ora ha 20 anni e sta bene».

(di Stefano Femminis, dalla rubrica Beatitudini di Popoli e Missione di settembre-ottobre.)