Gaza non esiste più, Israele pensa al Congo per deportare i palestinesi rimasti

Un report pubblicato ieri da Zman Israel parla di "negoziati segreti" con la RDC e altri, fonti smentiscono

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Gaza non esiste più: distrutta, annientata, schiacciata come un insetto molesto. I morti oramai superano le 20mila persone.

E mentre il mondo, distratto e anestetizzato, continua a guardare senza agire, il piano israeliano di evacuazione dei palestinesi dalla Striscia (nell’aria già a novembre scorso) si delinea sempre meglio.

Diverse notizie sulla ‘deportazione‘ delle persone rimaste ancora vive, circolano in queste ore: tra le ‘destinazioni finali’ che Israele ipotizza per i sopravvissuti di Gaza, c’è persino la Repubblica Democratica del Congo.

Il primo a parlare di negoziati in corso tra il governo di Netanyahu e quello della Repubblica Democratica del Congo (il cui presidente è stato appena rieletto), è il quotidiano ebraico Zman Israel, che ha pubblicato un report sulla questione dei ‘trasferimenti’ esattamente ieri.

Stamani diversi funzionari israeliani si sono affrettati a smentire la notizia: il Times of Israel ridimensiona la questione, riportando dichiarazioni secondo le quali i trasferimenti sarebbero volontari.

«In Israele c’è chi ritiene che ci sia il desiderio da parte dei gazawi di emigrare volontariamente», avrebbe dichiarato una fonte ufficiale a margine di un briefing con i giornalisti.

Ma avrebbe aggiunto: «E’ una pia illusione secondo me. Nessun Paese è in grado di assorbire due milioni di persone, o un milione e neanche 100mila o 5mila. Non capisco da dove giunga quest’idea».

Sta di fatto che un vero corridoio umanitario per mettere in salvo donne e bambini è l’unica cosa auspicabile per Gaza in questo momento.

Le prime vittime dell’ecatombe sono proprio i più piccoli e vulnerabili: i bambini, morti sotto le bombe o di paura e fame.

Il bilancio dei quasi tre mesi di guerra spietata su Gaza è infernale.

«Attualmente, a Gaza, in media c’è un bagno per 700 bambini e famiglie. Se si trasferiscono le famiglie in luoghi dove non ci sono servizi igienici, decine di migliaia di persone ricorreranno ai secchi o alla defecazione a cielo aperto.

E così, senza acqua e servizi igienici, né ripari, queste cosiddette zone sicure sono diventate zone di malattia». E dunque di morte. Questo si legge sul sito dell’Unicef.

Chi non viene preso sotto le bombe, si ammala. Il sito di Human Rights Watch scrive che «la fame viene usata da Israele come arma di guerra» e a rimetterci per primi, anche qui, sono i più piccoli.

Dei bambini di Gaza, feriti, spaventati a morte, uccisi sotto le bombe, incastrati tra le macerie, massacrati nelle case, e affamati, parla la stampa di tutto il mondo. 

Voice of America titola: «Gaza è il posto più pericoloso al mondo dove vivere per i bambini».

Ma durante il periodo di passaggio dal vecchio al nuovo anno sono stati i giornali del Medio Oriente, e quelli del Nord Africa, a soffermarsi per primi e più a lungo sull’orrore che rende i minori palestinesi vittime “privilegiate” della guerra.

Lo stesso quotidiano israeliano, Haaretz, grazie alla penna acuta e umana della giornalista Amira Hass scrive: «Israele ha ucciso migliaia di bambini a Gaza.

Come possono così tanti israeliani rimanere indifferenti?».

Il punto è che la propaganda lavora e lo fa in modo sistematico.

Facendo apparire come vittima una sola parte. La propaganda militare è fatta anche di terrore.

Ramy Abdu su Middle East Eye, si concentra anche su «come Israele usi l’umiliazione e l’arma psicologica contro i palestinesi di Gaza».

E’ la paura l’arma per eccellenza: vedere i bambini bianchi come lenzuoli tremare letteralmente, di freddo, paura e dolore, nelle sale d’attesa degli ospedali, o fuori dalle case crollate, è un’orribile visione.

«La casa di Dina, 13 anni, è stata completamente distrutta, lei è rimasta ferita e in seguito le è stata amputata la gamba destra».

L’Unicef ha raccolto la sua intera vicenda e quelle di altri bimbi: «Dina ha perso entrambi i genitori e due fratelli. Ma non ha perso la speranza.

Ci ha parlato del suo sogno di diventare avvocato.

Ha detto: “sento l’ingiustizia; quando sarò grande, diventerò un avvocato per poter godere dei miei diritti e dei diritti di tutti i bambini”».

Quando riusciremo finalmente ad imparare dai bambini e a smettere di torturarli?