Dieci beatificazioni oggi in Guatemala, il valore dei laici e della comunità

Il vescovo del Quiché mons. Bianchetti: «Non sono testimoni isolati: come loro, molti altri che ricorderemo».

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Si svolge oggi a Santa Cruz del Quiché la beatificazione di dieci martiri della diocesi, simbolo della «storia di questa terra, bagnata dal sangue di tanti martiri, testimoni di Dio e del suo vangelo, impegnati a costruire la comunità e la società secondo i valori del Regno», come hanno ricordato  i vescovi del Guatemala annunciando l’evento.

Si tratta del martirio di tre sacerdoti missionari e di sette laici, tra cui un ragazzo di 12 anni, uccisi in odio alla fede tra il 1980 e il 1991, quando il Paese  era sprofondato in un vortice di violenza inaudita che ha colpito indistintamente la chiesa e la società civile con massacri e sparizioni.

I tre sacerdoti appartengono ai  Missionari del Sacro Cuore di Gesù e soo di origine spagnola.

José María Gran Cirera venne assassinato il 4 giugno 1980 insieme al sacrestano e catechista Domingo del Barrio Batz, anche lui tra i nuovi beati.

Padre Faustino Villanueva fu assassinato il 10 luglio 1980, padre Juan Alonso Fernández fu torturato e assassinato il 15 febbraio 1981. I sette laici sono tutti guatemaltechi del Quiche: oltre a Domingo del Barrio Batz, sposato, ucciso insieme a padre Cirera, ci sono Juan Barrera Méndez, 12 anni, membro dell’Azione Cattolica; Tomás Ramírez Caba, sposato, sacrestano; Nicolás Castro, catechista e ministro straordinario della Comunione; Reyes Us Hernández, sposato, impegnato nelle attività pastorali; Rosalío Benito, catechista e operatore pastorale; Miguel Tiu Imul, sposato, direttore dell’Azione Cattolica e catechista. Vescovo della diocesi del Quichè è il fidei donum italiano mons. Rosolino Bianchetti di Crema.

«Come abbiamo affermato come vescovi del Guatemala», dice monsignor Bianchetti a Popoli e  Missione, «la vita dei nuovi beati è caratterizzata dalle loro opere: erano convinti che il cristiano non può disinteressarsi della realtà in cui vive o chiudersi in un individualismo egoista, sordo alle grandi necessità del suo popolo e delle sue comunità. Tutti loro sono stati promotori di giustizia, costruttori di pace, artigiani del bene comune, difensori della persona e dei suoi diritti, annunciatori del Vangelo e costruttori appassionati del Regno di Dio, con una totale fiducia in Cristo, che gli dava forza per affrontare prove, umiliazioni e calunnie».

«E’ il riconoscimento dell’amore per Cristo del mio popolo», continua monsignor Bianchetti.

«Come loro (e li ricorderemo), ci sono stati centinaia di testimoni che non hanno ceduto al ricatto della violenza e  alla persecuzione, e per questo sono morti. Negli anni ’80 in Guatemala bastava avere una Bibbia nello zaino per essere trucidati all’istante. I catechisti le interravano, i preti nascondevano l’eucaristia nel pane. Sono stati anni terribili».

Cosa insegna questa storia? «Insegna innanzitutto due cose: il valore dei laici -la loro grande passione per il vangelo- e il valore della comunità. E’ solo perché sono stati coesi come comunità attorno al vangelo che hanno resistito a queste violenze.

Anche oggi è così: solo la comunità resiste all’avidità  del profitto delle multinazionali che deturpano l’ambiente e tolgono le ricchezze naturali di queste popolazioni. In Guatemala la gente deve difendere la dignità ogni giorno. Ieri come oggi.».