COP27 al termine, deluso chi si batte contro il climate change

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E’ stato il vertice dei compromessi al ribasso, della negoziazione faticosa e in parte mancata sui risarcimenti (il cosiddetto loss and damage per i Paesi in via di sviluppo);

delle passerelle mediatiche (il neo-rieletto presidente del Brasile Lula ha sfilato per tutti), e dei colloqui a porte chiuse con il padrone di casa Al Sisi. 

Ma non è stata una COP27 che consente di affrontare con serietà un’emergenza climatica senza precedenti. Portando a casa obiettivi concreti per la mitigazione del climate change. 

A dirlo sono, come  prevedibile, le piattaforme ambientaliste che seguono i lavori.

La riduzione del ricorso ai combustibili fossili è praticamente rimandata.

Nel testo finale non si fa un riferimento chiaro ed esplicito a questo importante target. (Clicca qui per leggere la bozza dell’accordo).

 «Sono qui per fare appello a tutte le parti affinché siano all’altezza del momento e della più grande sfida che affronta l’umanità.

Il mondo sta guardando e ha un semplice messaggio: o la borsa o la vita», ha dichiarato platealmente il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

Il vertice egiziano (partito col piede sbagliato) appare come un gigantesco flop mondiale, che però, suo malgrado, consente di far emergere la resilienza e la capacità professionale di ambientalisti, attivisti, esperti di clima da anni impegnati a margine delle passerelle e delle grandi kermesse.

«L’aumento di due punti dal 55% al 57% dell’impegno a ridurre le emissioni di CO2 è assai lontano da quel 65% che è la giusta quota su cui l’Ue dovrebbe impegnarsi per limitare globalmente la temperatura a 1,5°C», ha detto in modo chiaro Chiara Martinelli di Climate Action Now Europe.

Greenpeace si spinge ad affermare che il G20 di Bali ha preso impegni più vincolanti e seri sul clima, rispetto alla COP27. E questo fa pensare che il summit in Egitto abbia raggiunto uno dei suoi punti più bassi.

«A Bali i leader al G20 hanno ribadito l’impegno per l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi, uno dei punti più importanti dell’Accordo di Parigi che sembra scomparso nel testo annacquato di Sharm el-Sheikh».

E limitare la temperatura ad 1,5°C è comunque troppo poco. Non basterà a scongiurare senari apocalittici da qui a venti anni.

Non scordiamo che a Parigi nel 2015, i Paesi Parti concordarono (se ne tirarono fuori solo Usa e Cina) di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e di puntare a limitare l’aumento a 1,5 C.

Obiettivo che si è perso per strada.

I giovani attivisti lo scorso anno a Glasgow chiesero che i programmi e le leggi adottati da ciascuno Stato fossero «allineati con la richiesta dell’IPCC (il panel delle Nazioni Unite sul clima, ndr.), per limitare il riscaldamento sotto la soglia dell’1,5 °C».

Quest’anno neanche ci provano a ribadirlo: i leader mondiali rincorrono obiettivi obsoleti e restano comunque al di sotto di quegli stessi obiettivi troppo bassi che loro stessi si erano dati.