Il 9 giugno prossimo il Carmelitano scalzo verrà ordinato vescovo di Bangassou, anche i musulmani sono con lui

Centrafrica: comunità in festa per padre Aurelio Gazzera, domenica prossima vescovo

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Finalmente il ‘grande giorno’ sta per arrivare: domenica 9 giugno padre Aurelio Gazzera, classe 1962, missionario Carmelitano scalzo, verrà ordinato vescovo della diocesi di Bangassou, una delle più complicate della Repubblica Centrafricana.

Difficile scordare l’oscuro passato d’odio e guerra scatenatosi appena sette anni fa tra le due milizie armate ammantate di connotati religiosi: gli Anti-balaka (che si definivano cristiano-animisti) e i Seleka, musulmani. 

Ma il tentativo ora è quello di «favorire la riconciliazione». 

«Il dialogo interreligioso è già in pista da tempo – ci conferma al telefono da Bangassou un emozionatissimo padre Aurelio – Ci vuole molta molta calma, saper vedere, ascoltare e capire.

Serve tempo per questo: il tempo di conoscersi».

Oltre duemila civili di religione islamica a Bangassou, per sfuggire agli Anti-balaka, nel 2017 vennero protetti nel petit Séminaire, il Seminario della cattedrale di Saint-Pierre Claver.

Intanto, per la celebrazione di domenica prossima fervono i preparativi in diocesi: da settimane l’intera comunità cristiana (e anche quella guidata dagli imam, per la verità!) è in piacevole subbuglio.

Una ordinazione episcopale è un grande evento da queste parti:

«per tutti, per chi crede e anche per chi professa altre fedi – dice padre Aurelio – L’imam è venuto a salutarmi, c’è molto rispetto.

Pensate che anche quelli che e

rano molto agguerriti contro la missione, tra cui un commerciante del villaggio musulmano, che è stato uno dei capi della guerriglia, adesso hanno cambiato completamente posizione».

Tra le sostenitrici di padre Gazzera c’è anche una suora storica del Centrafrica:

«Per noi è una grandissima gioia! Per me è un amico che viene ordinato vescovo», ci confida da Berberati suor Elvira Tutolo, missionaria di Santa Giovanna Antida Thouret.

«Il due giugno scorso il Console italiano ha invitato tutti noi nella sede consolare a Bangui: io ero lì e dopo poco è arrivato anche padre Aurelio – racconta suor Elvira –

Noi ci conosciamo da anni, da quando Aurelio viveva a Bozoum e venne da me fino a Berberati per affidarmi due bambini senza più famiglia, torturati e cacciati dalla comunità perchè accusati di stregoneria».

Elvira ci confida che l’attuale missione di padre Aurelio «non è semplice: lui è uomo di fede e non lo dice, ma noi tutti sappiamo che sarà dura. Lo dobbiamo accompagnare con la preghiera e augurargli il meglio».

La sconfinata Bangassou misura una superficie di 134mila km quadrati, quasi la metà dell’Italia, ma la diocesi è composta da appena 12 parrocchie, 28 sacerdoti e alcuni religiosi e religiose.

Su 582mila persone, circa 82.500 sono cristiani cattolici.

Nelle prossime ore, per festeggiare padre Aurelio, dall’Italia è in arrivo ‘una delegazione’ di oltre «quaranta persone, tra cui diversi padri carmelitani della nostra provincia, che arrivano da Roma e poi dalla Germania e dalla Spagna», ci conferma al telefono da Bangassou padre Aurelio.

«Ci saranno i miei parenti: mia sorella, mio cognato e tanti amici preti».

Un festa: questa ordinazione (profondamente voluta da papa Francesco e annunciata al mondo lo scorso 24 febbraio) è anzitutto una grande festa per la comunità cristiana. 

Governare apostolicamente l’immensa Bangassou, dal punto di vista spirituale e di riconciliazione è un’impresa, ma il Carmelitano ha già avviato un proficuo dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani. Che pare già funzionare.

Tornando alla Storia di sangue degli anni passati: era il 13 maggio del 2017 quando un gruppo di Anti-balaka (milizia di autodifesa nata per combattere la rivale ex Seleka) si avvicinò pericolosamente al quartiere di Tokoyo, in gran parte abitato da fedeli musulmani.

Gli uomini armati erano assetati di vendetta.

Quello sarà un bagno di sangue: 72 persone di religione islamica verranno massacrate senza motivo e senza possibilità di fuga.

Tenteranno invano di sfuggire ai carnefici, nascondendosi nella vicina moschea dove resteranno asserragliate per tre giorni.

Ma i miliziani Anti-balaka li attenderanno per ucciderli senza pietà.

La tuerie di Bangassou è rimasta impressa nella memoria collettiva della Repubblica Centrafricana come un trauma senza redenzione. Una ferita aperta.

E ha dato il via ad un conflitto interno che ancora oggi fa sentire strascichi pesanti.  

Inoltre, in questi anni, per riportare l’ordine e dare sostegno al proprio esercito, il governo si è rivolto alla Russia e ai mercenari del gruppo Wagner, che uccidono senza pietà.

«La Wagner sta arruolando personale locale», ci conferma padre Aurelio.

Una violenza e un conflitto strisciante, quello del Centrafrica, che non vede vie di fuga.