Brasile, la vittoria di Lula e il sollievo dei moradores de rua

Dopo il ballottaggio andiamo a Salvador de Bahia, città brasiliana dove c'è molta povertà e gli afro-discendenti sono discriminati

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A tre giorni dal ballottaggio per le presidenziali in Brasile, e dopo la conclamata vittoria del socialista Luiz Inácio Lula da Silva – 50,9% dei voti, contro il 49,1% dell’avversario Jair Bolsonaro –  raccontiamo una storia missionaria da Salvador de Bahia.

Città brasiliana difficile, violenta, impregnata di storia coloniale (è stata portoghese fino al 1822) e carica di tutto il dolore del mondo, Salvador.

«Ma anche straordinariamente bella, forte e allegra, con le sue case multicolore e il profumo dell’Oceano». Afro-brasiliana e tropicale, poverissima e ricca di umanità.

A raccontarcelo è Emma Chiolini, 48 anni, fidei donum laica in Brasile che parla così di Salvador: con amore e con pena.

La vita di Emma è un’immersione totale in quella dei più bisognosi: «vivo di poco e mi sposto con i bus pubblici, sto tra la gente e condivido con loro anche l’insicurezza di una città violenta, dove gli assalti delle gang sono all’ordine del giorno.

Le persone sono abituate a vivere così, io stessa sono stata aggredita due volte. Spesso assistiamo a spari tra la polizia e le gang».

Nei bairros più miseri di Salvador, come in tutto il Brasile povero, i moradores de rua sono migliaia: tra i vicoli stretti di Peilorinho (il centro storico), si attendeva e si sperava nella vittoria di Ignacio Lula da Silva a queste sofferte presidenziali.

«Lula è amato perché viene dal mondo dei lavoratori poveri», ricorda la missionaria.

«Salvador è una città di matrice africana, c’è una forte disparità economica e la scuola pubblica è un disastro – dice – Le famiglie sono allo sfascio ed esiste una differenza di trattamento per le persone afro-discendenti».

Per un lungo periodo Emma ha vissuto in un bairro misero dove poteva essere più vicina alla gente, ma poi non si sentiva abbastanza sicura e così ha cambiato residenza ed ora vive nel quartiere dove sorge la parrocchia dei comboniani.

«Non ho mai scelto una vita comoda – dice – a volte ne sento la necessità, ma poi, mi rendo conto che non farebbe parte di me e preferisco essere fedele a me stessa e questo, forse, me lo ha insegnato mio padre».

Spiritualmente si sente ed è una comboniana, ma formalmente è stata inviata dalla diocesi di Bologna e dunque lavora con la parrocchia e si occupa di progetti diocesani con i ragazzi in difficoltà.

Partecipa alla pastorale sociale, fa formazione alle donne, organizza corsi di artigianato, uncinetto, bigiotteria, consegnando ogni settimana la “cesta basica”, pacco viveri con dentro fagioli, riso, caffè.

«La pandemia ha lasciato il segno: un solco profondo soprattutto per l’istruzione dei ragazzi e dei bambini che hanno dovuto interrompere la scuola e adesso faticano a ricominciare».

La povertà porta con sé però anche una fortissima dose di umanità: nel suo blog Emma scrive ad esempio della storia di Elenice.

«Mio padre era un moradores de rua – racconta la donna – Ero la sua unica figlia avuta dalla relazione con mia madre. Viveva per strada con il vizio dell’alcool e della droga.

Lo andavo a trovare nella piazza dove di solito dormiva; mi sedevo per terra accanto a lui e gli parlavo di me, della mia vita e di quello che mi succedeva».

Nell’incontro con i poveri sta la missione di Emma: «tendo ad uscire sempre dalla mia zona di confort sia geografica che psicologica e culturale – dice-  In questo cammino accetto le sfide e vado avanti».

(Le foto sono di Emma Chiolini)