Un “pugno” inaspettato e gradito per suor Giusy, missionaria in Perù

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Tra le tante iniziative che si sono fermate a causa della pandemia da Covid-19, c’è anche la visita ai carcerati. Prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria, suor Giusy Riva, missionaria delle Serve di Gesù Cristo, ogni venerdì entrava nella prigione di Sayan (Perù), città dove vive.

Qui ha ascoltato, sorriso, compreso, consigliato, tessuto relazioni che con molti sono proseguite anche al di fuori del carcere. Inutile dire che le manca tantissimo quest’opera… Ma recentemente una strada si è aperta ed ha potuto riannodare i fili di questo servizio.

Insieme all’équipe della pastorale dei carcerati ha pensato di scrivere una lettera ai detenuti per esprimere loro vicinanza e affetto, dopo tanto tempo di lontananza.

Arrivata al cancello del carcere per consegnare la lettera, «sono stata accolta con tanto affetto. Un secondino – racconta per filo e per segno la missionaria – si è avvicinato chiedendomi una benedizione. Ho posto le mie piccole mani sulla sua testa e ho lasciato che lo Spirito mi suggerisse le parole».

Salutandolo, suor Giusy si è raccomandata di consegnare la missiva al direttore, ma le è stato detto di attendere: avrebbero fatto di tutto per farla accedere alla portineria.

Allora «mi sono diretta subito alla mia auto per lasciare cellulare, chiave e tutto ciò che non mi avrebbe permesso di entrare. Appena ritornata al cancello, con grande sorpresa ho visto che il direttore era venuto per incontrarmi e mi ha salutato con il “pugno”. Non me lo aspettavo proprio! Conoscevo il direttore come una persona discreta, di poche parole. Ho sempre dovuto “corrergli dietro” io, per i cortili del carcere, per chiedergli i permessi, a cui rispondeva semplicemente con un sì o un no. Ed ora incontravo un uomo con gli occhi spaventati, che non finiva più di parlare».

Non solo. Il direttore ha raccontato alla suora anche della scarcerazione di 200 persone e del fatto che i cortili sono diventati chiese: ogni pomeriggio, infatti, i carcerati si incontrano per pregare, cantare e sostenersi nella paura. «Sono tornata a casa con il cuore pieno di gioia: la strada si è riaperta», conclude la missionaria.

Anche fuori dal carcere l’opera di sostegno e vicinanza di suor Giusy continua: con due donne che hanno finito la detenzione ha fatto un gruppo Whatsapp per poter assicurare loro un appoggio nel momento delicato della scarcerazione e del reinserimento nella società. Segno inequivocabile che i rapporti tessuti nel servizio costante e puntuale di questi anni in prigione poggiano su solide basi.