Tanzania, dopo Magufuli una donna alla presidenza

Deceduto il Presidente 'padrone' che aveva messo il bavaglio all'opposizione e negato l'emergenza sanitaria.

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Samia Suluhu Hassan, 61 anni, fino ad oggi vicepresidente della Tanzania, si appresta a guidare il Paese africano per i prossimi cinque anni, come vuole la Costituzione in caso di decesso del Presidente in carica.

E in effetti John Magufuli, coetaneo di lady Hassan, rieletto di recente per un secondo mandato, è morto questa notte (ufficialmente per complicanze cardiache, ma ufficiosamente per Covid), lasciando vacante la carica della Presidenza.

Samia Hassan sarà la prima donna a guidare questo Paese dal destino incerto, peraltro sempre più in balia della pandemia del Covid, finora negata da Magufuli.

Con molta probabilità la guida di Hassan non rappresenterà una vera svolta rispetto al passato (è scontata la continuità con l’indirizzo politico precedente). Però questa dipartita significa molto per il Paese.

Anzitutto si potrà iniziare a contrastare l’esistenza del Covid 19 sin qui negata. E poi si aprirà forse un dibattito con le opposizioni, allentando la tensione sociale.

Negli ultimi cinque anni la società civile tanzaniana ha sperimentato un autoritarismo populista da parte dell’esponente ‘socialista’ Magufuli  (non a caso soprannominato  ‘Bulldozer’ dalla stampa per via della sua scarsa propensione al dialogo), noto per usare il pugno di ferro con l’opposizione.

La Tanzania oggi è uno Stato de facto monopartitico. Magufuli ha usato il suo primo mandato per marginalizzare l’opposizione e centralizzare il proprio potere – si legge in un report del Sub-Saharan Africa Center a cura di Micaela Collord, datato febbraio 2021 – La questione ora è quali saranno le implicazioni di questo nei prossimi cinque anni. I partiti dell’opposizione si trovano in estrema difficoltà”.

Il suo ingresso alla presidenza aveva aperto una stagione di “intimidazione e violenza” verso qualsiasi forma di contestazione sociale.

Se il Paese non compare nelle statistiche di quelli fortemente “in emergenza”, dal punto di vista economico, è perchè fa parte di quella fascia di paesi  basso reddito ma non altamente indebitati. La sua perfomance macro (anche grazie ad una politica di investimenti per la verità) non è tra le peggiori in assoluto, tuttavia il Paese soffre di molte carenze, soprattutto sanitarie.

Malaria, Hiv, tubercolosi sono tra le emergenze più diffuse.

L’americana Usaid e la Ong Cuamm di don Dante Carraro, nonché missionari e cooperanti di diversa provenienza, sono da anni presenti in Tanzania per sostenere un sistema sanitario debole e frammentario.

Il suo indice di Sviluppo Umano si attesta a 0,529, ponendo la Tanzania al 163esimo posto su 189 Paesi. La gran massa dei 58 milioni di abitanti della Tanzania vive in situazioni di precarietà, scarsa scolarizzazione e disoccupazione.

Ma il danno più incomprensibile arrecato da Magufuli al Paese è senza dubbio quello d’aver spudoratamente negato l’esistenza di una emergenza sanitaria come quella del Covid.

Tanto che la Conferenza Episcopale del Paese ha di recente divulgato una nota in cui si appellava al buon senso della cittadinanza.

“Ognuno protegga se stesso e gli altri per il bene della nazione”, avevano detto i vescovi. Di qui, il suggerimento di mantenere il distanziamento sociale, usare le mascherine e lavarsi spesso le mani, affinché tutti “possano contribuire alla crescita del Paese”.

E ancora: “La Tanzania non è un’isola e può essere ancora colpita dalla pandemia. Per questo, ogni persona deve considerare questa malattia come una minaccia alla salute di tutti”.

Di recente l’Oms in un comunicato aveva manifestato forte preoccupazione per la sottovalutazione dell’emergenza pandemica da parte delle autorità tanzaniane, e aveva fatto notare che “un numero consistente di tanzaniani viaggiano nei Paesi limitrofi nonostante siano risultati positivi al Covid-19″.