Le Rapid Support Forces, RSF, (milizie paramilitari al comando del generale Dagalo) hanno oggi attaccato la capitale dello Stato del Kordofan Occidentale, in Sudan.
Questo è quanto emerge da una serie di video pubblicati dal collettivo di giornalisti locali diSudan War Monitor.
La capitale Al-Fula è stata assediata: a bordo di motociclette ma anche a piedi e su dei pick up, i miliziani sono entrati in città brandendo le armi.
Dopo brevi scontri, avrebbero avuto la meglio sui militari che difendevano Al-Fula.
E’ molto probabile che la città non fosse affatto presidiata, ma è un dato certo che in città ci fossero rifugiati e diverse persone sfuggite ai precedenti attacchi.
«Sono caduti e noi abbiamo preso il Kordofan Occidentale; al momento sono seduto nell’ufficio del governatore Adam Karshhoum», ha annunciato in un video divulgato sui social, il colonnello Al-Tjani, comandante del settore Darfur delle RSF.
Decine di persone sono state uccise e altre catturate.
Nel frattempo proseguono i combattimenti a El Fasher e Kutum, nel Nord Darfur, dove almeno 18 persone sono state uccise negli ultimi due giorni, dai bombardamenti aerei e dai colpi di artiglieria.
Ma chi fornisce armi alle Rapid Support Forces?
Durante una sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dedicata al Sudan, il 18 giugno scorso, il rappresentante permanente del Sudan presso l’Onu, Al Harith Idris, ha affermato di avere le prove della fornitura di armi da parte degli Emirati Arabi alle milizie del generale Dagalo.
Ha anche annunciato che il governo di Khartum si rivolgerà alla Corte Penale Internazionale.
La società civile sudanese nel frattempo non resta con le mani in mano.
«In assenza di negoziati di pace, l’unica speranza di una soluzione politica al conflitto arriva da Addis Abeba dove, il mese scorso, l’ex premier Abdallah Hamdok è stato eletto alla guida di una coalizione di partiti e movimenti della società civile per mettere fine alla guerra nel paese», scrive la ricercatrice dell’Ispi, Sara De Simone.
«Il suo primo atto, in qualità di leader del coordinamento delle forze civili e democratiche del Sudan (Taqaddum), è stato firmare una dichiarazione che chiede la fine della guerra e la creazione di uno stato federale laico che garantisca il diritto all’autodeterminazione ai popoli del Sudan».
Ma per ora l’unica realtà sul campo resta la guerra, definita dall’inviato delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, «una guerra di ego, tra due uomini pronti a sacrificare il proprio paese».