Quello che Cuba non dice: “polizia violenta, arresti e niente internet”

Dopo le manifestazioni di massa dell'11 luglio nell'isola si respira un clima di restaurazione.

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Ora che a Cuba è scoppiata la protesta (le manifestazioni dell’11 luglio hanno rotto un tabù), la repressione e la condanna dei dissidenti è l’unica risposta (amara) che arriva dal regime.

Il presidente Miguel Díaz-Canel prova così ad evitare la sua caduta e a riprendersi le redini di un Paese che vacilla.

Le voci che arrivano dall’isola parlano però di grande purga, di violenze, di delatori e di ricerca dei ‘colpevoli’ ad ogni costo da parte della polizia che ordina nuovi arresti.

 «Perché tanta violenza a Cuba? Semplicemente perché in un Paese con un unico partito non è contemplata nessuna opposizione, nessuna protesta, nessuna manifestazione di dissenso», dice una nostra fonte legata alla Chiesa a Cuba.

I giorni che seguono la protesta sono giorni di arresti «di chi ha partecipato alle manifestazioni o di chi semplicemente filmava e documentava i cortei», c’è un gran dispiegamento di polizia ed esercito nelle strade, l’isola si avvia alla restaurazione.

«Ogni mattina arriva qualche camion pieno di gente, pagata per fare opera di spionaggio; pronti ad intervenire al minimo movimento. Nei luoghi di lavoro vengono penalizzate le persone additate per essere state in strada», racconta la fonte.

Eppure, nonostante il tentativo di metter tutto a tacere, qualcosa sembra essersi rotto per sempre a Cuba: le condizioni economiche misere, unite alla pandemia, alla repressione della libertà di espressione (internet è stato oscurato), hanno esasperato gli animi.

E reso forse irreversibile una forma di resistenza che prima non si aveva la forza di opporre.

L’isolamento di Cuba dal resto del mondo – in parte voluto dai dittatori, in parte imposto dall’embargo economico degli Usa – è il retaggio di un mondo che non c’è più.

«La guerra fredda è finita da trent’anni, ma non è cambiata l’identità politica di Cuba forgiata in quel periodo, la sua struttura interna, la sua organizzazione economica. – scrive oggi Michele Chiaruzzi su Atlante Treccani – Non è cambiata altresì l’identità politica del suo imprescindibile antagonista, gli Stati Uniti d’America, che perpetuano l’indefessa ostilità che solo una grande potenza contro un piccolo Stato può permettersi per così tanto tempo e in così mutato contesto».

Se è vero però che le sanzioni economiche imposte dagli USA fanno la loro parte (predominante) nell’immiserire il popolo, è anche vero che l’esclusione assoluta dal mercato e dalla democrazia, non aiuta il Paese a riprender fiato.

«L’embargo sicuramente impedisce alcune importazioni; di fatto, non tutte, perché medicinali e alimenti sono esclusi dall’embargo – spiega la nostra fonte – Il vero embargo è una autolimitazione interna: lo Stato non compra perché non ha soldi e non sono contemplati altri soggetti che non siano lo Stato stesso».