«La Siria è in ginocchio: qui si muore ancora, non di bombe ma di fame».
A dirlo, nel corso di una conversazione telefonica con Popoli e Missione, è Arianna Martini, fondatrice e Presidente della onlus Support and Sustain Children.
Martini è testimone diretta della sofferenza di un Paese che sta vivendo tutta l’instabilità di un governo di transizione guidato dal presidente ad interim Ahmad al-Sharaa, installatosi dopo il crollo del regime degli Assad.
Ma anche le conseguenze della pulizia etnica attorno a Damasco.
«Se non ci fosse grande necessità di progetti di emergenza, non staremmo qui», precisa la cooperante.
«Purtroppo il Paese è uscito fuori dai radar dell’attenzione mediatica ma le cose non vanno per niente bene».
«Se fino a questa estate – racconta – e più precisamente fino ad agosto, era una terra distrutta ma ancora piena di speranza e voglia di vivere, adesso constatiamo che è crollato tutto, in particolare nell’area governata dai Drusi».
Questi ultimi, armati da Israele, hanno attaccato le minoranze etniche e religiose: «ci sono solo macerie e una povertà in aumento che raggiunge il 90% della popolazione», conferma Arianna.
La Siria non è affatto disarmata, è molto divisa e ci sono situazioni estreme dove «si verificano casi di pulizia etnica come è successo nella città di Suwayda, cuore pulsante della comunità drusa, segnata da massacri e scontri».
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani a luglio scorso sono morte quasi 1.900 persone: tra loro centinaia di civili uccisi dalle truppe governative e dai loro alleati.
Israele questa estate ha bombardato la capitale siriana Damasco per proteggere la comunità drusa che vive in Siria.
La onlus Support and Sustain Children da oltre 12 anni presente nel Paese, opera nella Siria nord-occidentale e sostiene oltre 160 famiglie divise in tre campi tra cui quello di Bab Al Salam.
Fornisce regolarmente serbatoi d’acqua e cibo, coperte e altri beni di prima necessità.
Ad agosto scorso i volontari della onlus raccontavano:
«ci siamo mossi verso sud, più precisamente verso Sweida, luogo di cui si parla poco, ma la cui situazione è drammatica: massacri, bombardamenti, minoranze religiose nel mirino.
Ci siamo fermati tra Daraa e Israa, arrivando fino al check point, dove migliaia di sfollati si sono rifugiati in scuole e strutture improvvisate, ma non siamo riusciti a entrare. Troppo pericoloso».

