Le ‘zone di sacrificio’ in America Latina, tra raffinerie di petrolio e fonderie

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Le chiamano “zone di sacrificio”, luoghi in cui le comunità locali di Paesi come Cile, Perù, Argentina e Paraguay sono esposte a rischi gravissimi per la salute e l’ambiente. Causati dai combustibili fossili, dal carbone al petrolio al gas naturale.

«La devastazione che l’inquinamento provoca sulla salute continua a ricevere poca attenzione sui media se pensiamo che causa almeno nove milioni di morti premature ogni anno, il 50% in più dei decessi totali per Covid».

Non ha peli sulla lingua David R. Boyd, relatore speciale dell’ONU sugli obblighi in materia di diritti umani relativi al diritto a vivere in un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile.

Quasi nessuno lo sa ma un decesso su sei nel mondo è legato a malattie causate dall’inquinamento, un dato che triplica la somma dei decessi per Aids, malaria e tubercolosi e moltiplica per 15 i decessi causati da guerre, omicidi e altre forme di violenza.

I Paesi a basso e medio reddito sono i più colpiti visto che il 92% dei decessi correlati all’inquinamento avviene lì dove, nell’indifferenza globale, si moltiplicano nuovi siti contaminati, soprattutto centrali elettriche a carbone e miniere d’oro illegali.

Boyd le definisce «zone di sacrificio», luoghi danteschi con le comunità locali esposte a livelli estremi di inquinamento e a sostanze tossiche dove «alcune popolazioni sono soggette a ingiustizie ambientali che comportano un’esposizione così estrema all’inquinamento e alle sostanze tossiche nei loro luoghi di residenza che sono state chiamate “zone sacrificali”» denuncia.

Insieme all’Africa, il continente più colpito da questo dramma è l’America Latina, dove la situazione ambientale è tanto drammatica quanto ignorata dai grandi media, anche se ci sono molte ricerche delle Nazioni Unite proprio sui morti da inquinamento in questa parte di mondo.

Uno dei Paesi più esposti è il Cile, in particolare nella zona di Quintero-Puchuncaví, un complesso industriale con raffinerie di petrolio, impianti petrolchimici, centrali elettriche a carbone, terminali di gas e una fonderia di rame.

Qui, un lustro fa, un grave incidente ha causato una bolla di inquinamento atmosferico che ha fatto ammalare migliaia di studenti e, da allora, la situazione non è migliorata affatto.

A La Oroya, in Perù, c’è invece lo scandaloso il caso della locale fonderia di piombo.

Qui il 99% dei bambini ha livelli di piombo nel sangue che superano anche di dieci volte i limiti accettabili ma nessuno, in concreto, sembra interessarsene.

David R. Boyd, relatore speciale ONU

Nello stesso Paese andino, a Cerro de Pasco, gli abitanti sono esposti da anni ai metalli pesanti a causa di un’enorme miniera a cielo aperto.

Paradisi avvelenati

Contaminati da livelli pericolosi del pesticida clordecone sono invece le acque ed il suolo delle paradisiache isole della Guadalupa e della Martinica, senza che la Francia faccia granché per risolvere il problema.

In entrambi i Paesi il 90% degli abitanti ha clordecone nel sangue, fattore che aumenta il rischio di sviluppare il cancro.

Per non dire delle discariche che in molti Stati caraibici prendono regolarmente fuoco, sviluppando sostanze chimiche estremamente pericolose.

«Il fatto che le “zone di sacrificio” continuino ad esistere è una macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità.

Spesso create con la collusione di governi e aziende, le zone di sacrificio sono in diretta contraddizione con lo sviluppo sostenibile e minano gli interessi delle generazioni presenti e future.

Le persone che abitano lì vivono sfruttate, traumatizzate e stigmatizzate.

Sono trattate come oggetti usa e getta, le loro voci ignorate, la loro presenza esclusa dai processi decisionali e la loro dignità e diritti umani calpestati» denuncia Boyd.

Purtroppo l’America Latina batte anche i record di inquinamento generato dagli incendi boschivi.

A denunciarlo è l’ultimo bilancio annuale pubblicato dal Copernicus Atmospheric Monitoring Service (CAMS).

Nel 2022 sono stati prodotte circa 1.455 mega tonnellate di emissioni di carbonio a seguito di questi incendi boschivi e della vegetazione in tutto il mondo.

Questa cifra è in calo da anni, tuttavia, nelle regioni più calde e secche, come in molte parti del Sud America, le emissioni di carbonio sono aumentate.

È il caso del Paraguay e dell’Argentina, che hanno subito incendi boschivi senza precedenti a causa di ondate di caldo e condizioni di siccità nel 2022, che hanno causato le più alte emissioni da incendi degli ultimi 20 anni.

Disastrosa anche la situazione dello Stato di Amazonas in Brasile, che ha registrato tra luglio e ottobre scorso la più alta emissione totale di incendi degli ultimi decenni, oltre 22 mega tonnellate.

 Il paradosso è che un quarto delle malattie oggi è attribuito a fattori di rischio ambientale che potrebbero essere prevenuti, come dimostrano gli studi dell’ONU.

Il vero problema sono le centinaia di milioni di tonnellate di sostanze tossiche che vengono rilasciate o scaricate nell’aria, nell’acqua e nel suolo ogni anno.

La produzione chimica è infatti raddoppiata tra il 2000 e il 2020 e si prevede che raddoppierà nuovamente entro il 2030 e triplicherà entro il 2050.

La maggior parte di questo incremento si verificherà nei Paesi del Sud del mondo che non sono membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico, l’OCSE.

Sul banco degli imputati c’è l’industria chimica, che emette circa 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra ogni anno ma anche l’agricoltura industriale, che inquina la catena alimentare con pesticidi, erbicidi, fertilizzanti sintetici e medicinali pericolosi.

 (Una versione estesa di questo articolo è stata pubblicata su Popoli e Missione di febbraio).