La Russia dei dissidenti è più tenace dopo la morte di Navalny

Facebooktwitterlinkedinmail

«Navalny è stato ucciso nel momento in cui noi, l’opposizione, stavamo diventando più forti e Putin più debole.

Non importa quanto complicata la situazione possa apparire da una prospettiva internazionale, la verità è che la popolarità di Putin in Russia sta calando».

E’ quanto si legge sulla Novaya Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja, in una sorta di Manifesto della resistenza nel dopo Navalny.

E ancora: «Vediamo svilupparsi i movimenti sociali sorti dal basso, l’attività civica che prende corpo fuori dalle aree metropolitane.

E un desiderio diffuso di mettere fine alla guerra e tornare alla normalità». Ma esprimere opinioni contrarie a quelle del regime, in Russia, comporta sempre dei rischi enormi.

Il governo russo, come tutti quelli in difficoltà, che sentono il consenso sfuggirgli di mano, sta cercando di manipolare la legislazione preposta all’anti-terrorismo, per colpire i dissidenti.

È in particolare una importante fonte di informazione russa, OVD-Info, che si definisce “media group in difesa dei diritti umani on the ground in Russia”, a tenere il conto dei reclusi: sarebbero 400 i detenuti in 39 città dopo la morte dell’ex blogger, e in totale 19.855, ad oggi, i detenuti per aver protestato contro la guerra in Ucraina dall’inizio del conflitto. Foreign Policy parla della “repressione continua dei dissidenti” e delle loro vite al limite.

Il giornale Eurasianet, in un pezzo sul “rights watchdog group”, ossia un gruppo in difesa dei diritti umani come Amnesty International, racconta che Mosca «terrorizza i dissidenti abusando dell’accusa di attentato all’integrità dello Stato».

Persino azioni innocue che sarebbero attinenti alla libertà di pensiero in qualsiasi Stato democratico, per Mosca diventano crimini.

«I cittadini russi corrono il rischio di essere etichettati come terroristi o estremisti, per aver perpetrato azioni non violente come ad esempio aver postato on line un commento critico nei confronti del governo – scrive Eurasianet – o aver fatto donazioni per cause o singoli individui invisi alle autorità, o semplicemente per aver espresso pubblicamente il proprio lutto per la morte di un dissidente».

The Moscow Times, quotidiano indipendente russo in lingua inglese, apre l’homepage del sito il 5 marzo scorso con la notizia che la polizia moscovita tiene in custodia cautelare in carcere quattro persone «che hanno partecipato agli eventi in memoria, dedicati ad Alexei Navalny».

Tra loro c’è Paolina Orekhova accusata di aver violato le leggi sull’assemblea pubblica per essere stata ad un evento funebre in onore di Navalny lo scorso 17 febbraio.

Le multe, dopo la scarcerazione, arrivano fino a 20mila rubli, il corrispettivo di 200 dollari oppure, in alternativa 40 ore di lavoro obbligatorio. L’agenzia stampa AFP ricorda che il «dissidente Oleg Orlov, figura di spicco della battaglia per i diritti umani in Russia, è stato condannato il 27 febbraio a due anni e mezzo di prigione da un tribunale di Mosca per aver contestato l’invasione dell’Ucraina».

Questa è la Russia di oggi: Paese sotto chiave, costipato, tenuto al guinzaglio, purgato e arrivato alla canna del gas dal punto di vista economico.

La guerra in Ucraina non lascia scampo: le finanze pubbliche sono ai minimi storici e il popolo, soprattutto fuori dalle grandi città, soffre. Come se ne esce?