Oggi pomeriggio a Washington Donald Trump accoglierà i capi di Stato di Repubblica Democratica del Congo e Ruanda per la firma di un accordo di pace che parte col piede sbagliato.
Almeno secondo quanto sostenuto dai gruppi della società civile congolese, dai pacifisti che da anni si battono per tenere assieme le varie anime dell’immenso Paese, e da diversi missionari ed analisti, scettici sui contenuti della Pax americana.
Donald Trump mette in atto quello che è definito un accordo minerals-for-security, minerali in cambio di sicurezza, che assicura agli Usa il controllo delle miniere di tantalio, cobalto, rame, litio e oro dell’est del Congo.
Le truppe ruandesi dovranno ritirarsi dall’ex Zaire e lasciare libero tutto l’Est per procedere con “l’integrazione Regionale” e lo sblocco di miliardi di dollari di investimenti americani.
Che torneranno indietro sotto forma di accesso ai siti minerari.
«Nessuna pace imposta dall’esterno potrà durare senza che vi sia una de-escalation politica all’interno del Paese»: così scrive in una lettera indirizzata al Capo di Stato, il Groupe de doyens della società civile del Sud-Kivu.
«La situazione dei diritti umani è catastrofica. Da trent’anni i morti si contano a milioni e l’aspetto più tragico è che giustizia non è stata fatta per la stragrande maggioranza delle vittime».
Nel Nord e nel Sud Kivu, nell’Ituri e anche nella grande regione di Bandundu, ad Ovest non è mai stata fatta giustizia e i colpevoli delle violenze non sono mai stati puniti.
Il “Gruppo dei dieci” chiede invece «l’istituzione di un Tribunale Speciale per il Congo», che integri la Corte Penale Internazionale, «perché non può esserci vera pace senza giustizia».
Mauro Garofalo, che è negoziatore in diversi processi di pace in Africa per la Comunità di Sant’Egidio ci dice che: «ogni conflitto fa caso a sé ma non funziona che chiunque lo decida può assumere la leadership di un negoziato!
Bisogna rispondere a dei requisiti.
Detto ciò va ammesso che il multilateralismo purtroppo è in crisi profonda e dunque a mediare sono sempre più spesso i singoli. Trump è uno di questi. In Congo ci sono due soggetti di un certo peso come mediatori: gli Stati Uniti e il Qatar.
I primi dialogano con la presidenza congolese e ruandese; gli altri con il movimento ribelle M23».
Il timore di tutti coloro che in queste ore stanno esprimendo scetticismo o contrarietà all’accordo, è che il Congo non si liberi mai dell’impronta coloniale che lo ha sempre caratterizzato e che passi da un colonizzatore all’altro: dai cinesi agli americani.
Senza pacificare fino in fondo il Paese, ma anzi, lasciando scoperti moltissimi territori e attizzando le milizie armate che non sono state interpellate da Trump e che proseguono indisturbate le loro razzie sul territorio.

