In Mali i jihadisti usano la fame come “arma di guerra”

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In Mali i jihadisti impediscono ai contadini di mietere le risaie, bruciano i loro campi e attaccano gli stessi lavoratori quando cercano di provvedere al raccolto.

Secondo informazioni fornite da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e raccolte da fonti locali, «i terroristi stanno usando la fame come arma per costringere la gente di campagna a unirsi ai loro ranghi oppure, in alternativa, ad abbandonare la terra affinché sia occupata dagli stessi estremisti».

Lo riferisce la stessa Acs in una nota.

«Coloro che hanno già mietuto le loro risaie non possono spostare il raccolto, i campi di quanti si rifiutano di obbedire agli ordini dei terroristi vengono bruciati e i proprietari rischiano anche di essere assassinati».

La situazione è particolarmente instabile nella regione di Ségou, nel Mali centrale, a causa di scontri tra milizie della comunità locale e gruppo di autodifesa dei cacciatori di Donso, da un lato, e gli invasori jihadisti dall’altro.

Fonti locali parlano dell’esistenza di un terzo gruppo di banditi armati, difficile da identificare ma non appartenente né ai jihadisti né ai cacciatori di Donso.

 Il gruppo islamista Katiba Macina è legato ad altri gruppi estremisti, come Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), ed è attivo nel Mali centrale.

Secondo gli ultimi dati dell’UNHCR, il numero di sfollati maliani interni aveva già superato i 400.000 alla fine di settembre 2021.

Nella sola prima metà dell’anno quasi 90.000 persone erano state costrette ad abbandonare le proprie case. I rifugiati includono sia musulmani sia cristiani, anche se il numero di musulmani supera di gran lunga quello dei cristiani, dato che quasi il 90% (88,7%) della popolazione del Mali è islamica.