Il Papa e il nuovo patto economico con i giovani

Da The Economy of Francesco è emersa la 'visione' di un futuro in cui l'economia sia usata per sanare le diseguaglianze

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«La Storia ci insegna che non ci sono sistemi né crisi in grado di annullare completamente la capacità, l’ingegno e la creatività che Dio suscita nei cuori. Con dedizione e fedeltà ai vostri popoli, al vostro presente e al vostro futuro, voi potete unirvi ad altri per tessere un nuovo modo di fare la Storia».
Sono le parole di Papa Francesco al termine del forum mondiale ‘The Economy of Francesco’, concluso pochi giorni fa ad Assisi e trasmesso in diretta tramite le piattaforme on-line.
L’obiettivo dichiarato era quello di aumentare il «tasso di profezia nell’economia di oggi e di domani».  
Il Papa si è rivolto alle centinaia di giovani economisti di tutto il mondo che hanno costruito l’evento e poi vi hanno partecipato, consapevoli che è la tappa intermedia di un processo appena avviato per immaginare un nuovo ordine economico mondiale.
A tal fine il pontefice ha stretto un vero e proprio patto di alleanza con le nuove generazioni, chiedendo loro di avviare un processo virtuoso che possa modificare profondamente l’attuale sistema economico. La via tracciata è quella dello sviluppo umano integrale. Ma come farlo?
Nel mettere assieme le riflessioni e le suggestioni di decine di economisti ‘illuminati’, come Mohammed Yunus, il ‘banchiere dei poveri’ ideatore della Grameen Bank in Bangladesh, Francesco ha stimolato la creatività dei giovani che operano in ambito economico, spronandoli a guardare oltre le griglie imposte dall’attuale degenerazione del sistema capitalistico.

L’economia non può rimanere svincolata dalle altre discipline, dice il Santo Padre, e anzi va integrata in una cultura differente, che inglobi la cura della Casa comune, la cura dell’altro, la condivisione e la ripartizione delle risorse e dei benefici; un’attenzione prioritaria ai diritti individuali e al rispetto delle collettività.

«Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze – ha spiegato il Papa – è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale».
Non è possibile impegnarsi in grandi cose, spiega , «senza uno spirito che vi animi, senza alcune motivazioni interiori che diano senso, senza un’appartenenza e un radicamento che diano respiro all’azione personale e comunitaria».
Il futuro è ancora tutto da immaginare, dice il papa, anche dal punto di vista dell’economia, e non è detto che debba necessariamente seguire la traiettoria fin qui tracciata da un capitalismo finanziario che ha oltrepassato i propri limiti.
«L’interesse collettivo e l’interesse individuale vanno coniugati assieme – ha detto Yunus – mentre l’economia finora ha eliminato la parte dell’interesse collettivo; quando abbiamo creato il microcredito lo abbiamo fatto come un’impresa sociale, ideata non per guadagnare denaro destinato ai singoli individui ma per risolvere i problemi della collettività».
 Ad aprire i lavori il cardinal Peter Turkson che si è rivolto al network globale «di giovani leader e change makers per immaginare una economia differente, inclusiva e sostenibile». Per dire no ad una economia guidata dalla speculazione e dal profitto e sì ad un’economia sociale che investa nelle persone e crei lavoro.
Nel corso degli interventi è emerso chiaramente che esiste un mondo prima ed un mondo dopo la pandemia del Covid-19.
I più colpiti da questa crisi sono i Paesi ad economia fragile e gli effetti sull’accesso al cibo (food security) sono già evidenti. Di questo hanno parlato Marco Cavalcante esperto Fao in Malawi e Maximo Torero, sempre in ambito Fao.
In tutta l’Africa  Sub-Sahariana sono 224 milioni le persone ridotte alla fame (il 21,6% della popolazione), e 3,4 milioni si trovano in Malawi. Il Covid ha raddoppiato il numero di quelle che hanno necessità di assistenza alimentare. Secondo le previsioni Fao la pandemia aggiungerà al numero dei poveri, una cifra compresa tra gli 83 e i 132 milioni di persone in Africa. Tra i più colpiti: Repubblica democratica del Congo, Etiopia e Sudan. Cosa fare?
«Servono degli acceleratori: nuove tecnologie, innovazione e dati a servizio delle persone», dicono gli esperti. Per farlo però dobbiamo creare processi inclusivi e partecipativi».