«Io ho accettato di far parte della rete ‘Preti contro il genocidio’ perché non ne posso più di vedere tanta violenza e tante bombe.
Diventa viscerale: voglio metterci la faccia, perché almeno questa posso metterla».
Padre Nicola Colasuonno, missionario saveriano e rettore del seminario San Guido Conforti a Parma, spiega così l’urgenza di entrare a far parte di questa rete di 550 sacerdoti (ma il numero cresce di girono in giorno), che il 22 settembre sarà in piazza in corteo a Roma, per dire no al genocidio di Gaza, tramite preghiere e testimonianze.
Mentre le truppe dell’IDF avanzano verso il centro di Gaza City, radendo al suolo quel che resta della città, e il capo degli aiuti delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, implora: «abbiamo bisogno che i valichi siano aperti», una parte della Chiesa italiana si schiera uscendo allo scoperto.
La rete di sacerdoti di 21 paesi e 4 continenti, nata dal basso, stanca di tentennamenti, ha sentito l’esigenza di dire no al genocidio in modo chiaro ed esplicito.
«Siamo indignati e non possiamo tacere di fronte alla tragedia umanitaria della popolazione civile palestinese nella Striscia di Gaza e negli altri Territori Palestinesi Occupati», si legge nel documento di presentazione della rete.
«Noi ci siamo autoconvocati dal basso come sacerdoti – ha spiegato ieri in conferenza stampa don Rito Maresca, sacerdote di Mortora – non con l’idea di una manifestazione che chiamasse a raccolta tutta la Chiesa, questo poi lo lasciamo fare ai vescovi, alle associazioni.
Ma noi abbiamo lavorato ad un documento comune che poi abbiamo chiesto di firmare».
Le firme sono iniziate ad arrivare ed alcune di queste sono piuttosto note: compaiono i nomi di don Luigi Ciotti (Libera, anti-mafia), don Nandino Capovilla, don Renato Sacco (Pax Christi) e padre Alex Zanoteli.
Il cuore del documento programmatico della rete dice che i preti contro il genocidio vogliono:
«denunciare il genocidio in atto a Gaza, le violenze ingiustificate contro la popolazione civile palestinese e lo stato di apartheid in vigore da oltre 70 anni in tutti i Territori Palestinesi Occupati» e «chiedere il rispetto del diritto internazionale, delle risoluzioni delle Nazioni Unite e i pronunciamenti della Corte Penale Internazionale a cui l’Italia
aderisce».
Inoltre si vuole «promuovere una cultura di riconciliazione, che passi dal riconoscimento delle responsabilità personali, politiche e militari, attraverso inchieste indipendenti ed eque sul 7 ottobre 2023, e su quanto accaduto prima e dopo quella data».
Tra le altre firme quella di don Albino Bizzotto, Fondatore dell’associazione “Beati i costruttori di pace” e di don Tony Drazza, segretario particolare del Segretario generale della CEI.
Ma come si pongono i vertici della Conferenza episcopale di fronte a questa iniziativa?
«C’è un atteggiamento di benevolenza anche se non adesioni formali», ha spiegato padre Massimo Nevola, superiore dei Gesuiti a Sant’Ignazio a Roma.
«Le informazioni sono arrivate al vicariato di Roma e alla Santa Sede: il presidente della Cei non ha aderito non perché non sia convinto ma perché rappresenta tutti i vescovi d’Italia e parlerebbe a nome di tutti, ma manca il passaggio formale. Questa è una rete dal basso un po’ più informale».
Per essere ancora più espliciti:
«nessuno ci ha voluto mettere il bavaglio e nessuno ci ha messo la firma ma guardano: è una manifestazione dal basso e non è una provocazione per le gerarchie se non per noi stessi. Diamoci una sveglia», ha concluso Nevola.
L’appuntamento dei Preti contro il genocidio è per il 22 settembre, quando «si partirà dalla chiesa di Sant’Andrea al Quirinale e con una marcia si arriverà fino a Montecitorio – ha spiegato il saveriano padre Pietro Rossini – Ci sarà un momento di preghiera stabile, per poi metterci in contatto con fratelli e sorelle palestinesi.
E’ stata scelta la data del 22 perché saremo alla vigilia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella quale si parlerà di Gaza».