Gli orfani del Covid, dal Perù al Sudafrica

Migliaia di bambini senza più genitori in tutto il mondo, soprattutto in America Latina.

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Tra le eredità indesiderate che la crisi del Covid lascerà dietro di sé, c’è un esercito di bambini senza genitori.

Secondo le stime pubblicate sull’autorevole rivista britannica The Lancet, per ogni due persone che muoiono a causa della malattia da Coronavirus, nel mondo un bambino rimane orfano o senza un parente che si prenda cura di lui.

Tra marzo 2020 e giugno 2021 quasi due milioni di under 18 anni hanno perso la madre, il padre o un nonno.

Gli studi hanno anche rivelato che a causa della pandemia, sul pianeta diventa orfano un bambino ogni 12 secondi e, purtroppo, la lista sta crescendo ogni giorno che passa.

In rapporto al numero degli abitanti, il Paese più colpito da questo dramma è il Perù, seguito dal Sudafrica e dal Messico.

Nella nazione andina, che ha registrato sinora oltre 205mila morti su una popolazione di meno di 33 milioni di persone, gli “orfani del Covid” sono ormai oltre 100mila.

Emblematica a questo proposito la storia della famiglia di Gabriela Zarate. Gabriela vive in una piccola casa alla periferia di Lima, con il marito e otto figli.

Quattro sono suoi e altri quattro sono invece i figli della sorella minore, Katherine uccisa dal Covid lo scorso giugno.

Morta in casa, perché gli ospedali della capitale del Perù erano tutti al collasso.

Una delle ultime cose che Katherine ha fatto prima di spirare è stata chiedere a Gabriela di prendersi cura dei suoi quattro figli perché il padre soffre di problemi di salute e non è presente da anni. Insomma, non voleva che finissero in un orfanotrofio.

Gabriela lo ha fatto, con moltissima fatica, molto sudore della fronte e tante lacrime.

Per fortuna da qualche mese il governo del Perù ha stanziato una “pensione Covid19”, dell’equivalente di 40 euro al mese per ogni bambino rimasto orfano durante la pandemia. Un grande aiuto per le famiglie povere come quella degli Zarate, anche se «il sussidio è stato sinora erogato ad appena 18mila bambini, quasi il doppio del numero previsto inizialmente ma assolutamente insufficiente rispetto alla realtà dei casi», ci spiega Corrado Scropetta, rappresentante in Perù della Ong WeWorld.

Aiutare i bambini come i figli di Katherine è un lavoro quotidiano non solo per Gabriella ma anche per Andrea Ramos, assistente sociale nel consiglio comunale di due zone povere di Lima.

Spiega che «la povertà sta peggiorando a causa dell’aumento della disoccupazione nella pandemia. Abbiamo molti bambini con problemi di salute mentale che hanno paura di uscire perché sono stati rinchiusi durante le peggiori ondate di Covid durante lo scorso anno».

Certo, ci sono laboratori per aiutare le famiglie peruviane ad affrontare le difficoltà quando i bambini sono a casa tutto il giorno con lezioni on line, che danno indicazioni su come risolvere i litigi e tenere sotto controllo gli animi ma gli specialisti sono molto preoccupati dagli effetti a lungo termine della pandemia soprattutto sui bambini orfani.

Per Yuri Cutipé, il direttore esecutivo presso il ministero della Sanità del Perù, «se aggiungiamo la perdita di un genitore o di un caregiver all’impatto sulla salute mentale della pandemia nel contesto dell’indebolimento delle reti familiari e comunitarie, e delle carenze economiche, la psiche di tutta questa fascia di popolazione rischia di essere segnata da difficoltà complesse».

I lunghi lockdown, infatti, hanno causato un forte aumento della violenza domestica, nonché dell’ansia e della depressione nei più piccoli.

Un terzo dei bambini di Lima, infatti «mostra un alto rischio di avere in futuro problemi di salute mentale» secondo uno studio del ministero della Sanità del Perù e dell’Unicef.

Per Roxana Pingo, coordinatrice del programma di risposta al Covid di Save the Children Perù «oltre al dramma dei bambini morti per il virus, qui i minori che ce l’hanno fatta sono stati colpiti in modo estremo sia dalla depressione che dall’ansia».

A fare il punto con Popoli e Missione sulla situazione degli “orfani da Covid” in Perù è padre Manolo Cayo, ispettore salesiano nel Paese andino: «Noi salesiani qui siamo in 98, distribuiti in 15 comunità, dall’Amazzonia alle Ande.

Abbiamo sparse sul territorio 10 scuole, nove Case Don Bosco per giovani in situazioni di vulnerabilità, e tre centri missionari.

Con la Fondazione Don Bosco abbiamo lavorato insieme alla Chiesa peruviana nella campagna dell’ossigeno e con il Banco Alimentare per l’emergenza alimentare.

Abbiamo realizzato campagne d’intervento diretto in più di 90 ollas populares, come qui si chiamano le mense per i poveri».

Inoltre «stiamo garantendo da quasi due anni l’accesso digitale alla scuola per gli adolescenti e i giovani più poveri, visto che in Perù non si va a scuola dal marzo del 2020: la lunga mancanza di frequenza scolastica è un grave problema che si aggiunge alle terribili cifre degli orfani del Covid».

La causa del disastro peruviano è che in Perù «i vaccini sono arrivati molto tardi e l’assistenza sanitaria è precaria.

Come Chiesa abbiamo aiutato con ogni forza possibile ma lo scorso anno, nel pieno del picco pandemico, sono venute a mancare le bombole di ossigeno e le Unità di terapia intensiva degli ospedali sono state prese d’assalto, con l’occupazione dei letti al 100%.

Molte persone sono così morte in casa, senza ricevere assistenza». Proprio come Katherine. Quattro degli oltre 100mila orfani del Perù sono i suoi figli.