Fuoco su Gaza, 53 i morti. Irrisolto il nodo delle colonie a Gerusalemme Est

Dalla Città Santa la conflittualità si sposta su Gaza dove l'esercito bombarda. Hamas ha lanciato oltre 200 razzi su Israele.

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La Corte d’appello israeliana prende tempo e sullo sgombero di 70 famiglie palestinesi da Gerusalemme est (sulle quali pende un ordine di sfratto delle case a Sheikh Jarrah) rimanda di 30 giorni il verdetto finale.

«Sarà decisa una nuova data nei prossimi 30 giorni. Nel frattempo, fino a nuovo avviso, ordino il congelamento di ogni verdetto della Corte d’appello», scrive in una nota il giudice Yitzhak Amit.

La Città Santa, dopo le tensioni dei giorni scorsi, torna così a respirare. Almeno per il momento.

Non si placa invece la conflittualità, oramai deflagrata in guerra aperta, tra Israele e Hamas. Guerra che uccide soprattutto i civili, abbattendo palazzi abitati a Gaza.

L’epicentro del conflitto si è trasferito, dunque, ancora una volta, dalla Città Santa alla Striscia. 

«Da questa notte a Gerusalemme è tutto più tranquillo; Ieri alla porta di Damasco sentivamo urla e scoppi, c’era molta tensione. Erano anche suonate le sirene che annunciano un pericolo imminente, ma oggi sembra davvero più calmo, almeno in città», ci racconta al telefono da Gerusalemme don Vincenzo Peroni, sacerdote di Brescia in missione nella Città Santa con la Custodia di Terrasanta. 

«Noi siamo proprio in città vecchia e quando si rialzano i toni, avvertiamo per primi tutta la tensione interna», aggiunge don Vincenzo.

Anche stavolta, dopo aver dato fuoco alla miccia (la questione cruciale rimane quella irrisolta degli insediamenti illegali di coloni ebraici all’interno della zona Est di Gerusalemme, con i conseguenti ordini di sfratto e demolizione delle case di palestinesi), l’esercito israeliano torna a bombardare la Striscia.

E così sale la tensione con Hamas. Qui un video di Gaza tratto da Roya News.

Il copione si ripete identico oramai da oltre dieci anni, con escalation crescente: la reazione violenta di Hamas da Gaza che lancia razzi sulle città costiere israeliane (oltre 200 razzi questa volta, senza preoccupazione per le ritorsioni su Gaza), e l’over-reaction dell’esercito israeliano che bombarda Gaza, colpendo civili inermi.

In questo caso si tratta, come scrive Haaretz, del bombardamento più intenso dal 2014.

Il bilancio di morti e feriti è particolarmente pesante: la tv panaraba  AlJazeera, e diverse fonti e agenzie stampa parlano di 53 morti tra i palestinesi della Striscia sotto assedio, e tra questi ci sono dieci bambini. 

Particolarmente virulenta pure l’azione di Hamas che da Gaza conferma il lancio di 200 razzi che hanno colpito le città di confine, tra cui Lod, e ucciso almeno due persone.

L’inviato delle Nazioni Unite per la pace in Medio oriente, Tor Wennesland ha scritto in un tweet: «Fermate il fuoco immediatamente.

Si sta arrivando ad una escalation che porta ad una guerra totale. I leader di entrambi gli schieramenti devono assumersi la responsabilità di una de- escalation».

Ma, seppure il lancio di bombe e razzi dovesse placarsi, resta irrisolta la questione dell’occupazione militare della Cisgiordania, e quella dell’assedio di coloni a Gerusalemme: la prima zona nel mirino  di Israele è Silwan. Seguono Ras al-Amud, Sheikh Jarrah e Monte degli Ulivi.

In questi quartieri la presenza dei coloni ebraici (di norma appartenenti ai gruppi nazional-religiosi) mina qualsiasi dialogo di pace.

Imponenti residenze costruite ad hoc per i coloni (che anche Israele definisce illegali) sono sorte nella parte più sacra di Gerusalemme Est, tra Ras al – Amud, appena fuori le mura della Città Vecchia, e il Monte degli Ulivi.

Il ‘congelamento’ delle colonie in questo senso non solo è insufficiente, ma pretestuoso. E ciclicamente porta al riacutizzarsi del conflitto.

Per pacificare davvero Gerusalemme e tentare di fare giustizia in Cisgiordania, dicono da anni gli analisti, è necessario metter fine all’occupazione militare e stipulare un Trattato di pace che preveda una ‘One State solution’ (l’ipotesi più accreditata anche dalle Nazioni Unite).

Ossia, uno Stato per due popoli e tre religioni, che possa garantire diritti di cittadinanza e sicurezza per tutti.

(foto scattata a Gaza da Michele Giorgio, libera da copyright).