Estate in Madagascar: la missione di don Luca, parroco a Manakara

Lo stretto contatto con il Cmd di Reggio Emilia, la presenza dei volontari e l'equipe missionaria' rendono unica questa missione.

Facebooktwitterlinkedinmail

Don Luca Fornaciari ha 38 anni e viene da Reggio Emilia. Da 4 anni è missionario fidei donum a Manakara, cittadina portuale del Madagascar sull’Oceano indiano.

Nella foto che ci invia dice messa all’aperto, mare azzurro e palme alle spalle, un cerchio allargato e felice di bambini seduti sul prato verde.

Questo è un paradiso – non privo di problemi – dentro l’isola più spettacolare d’Africa; una missione pastorale e di accompagnamento del popolo malgascio, che don Luca ha sognato e realizzato grazie al sostegno della diocesi e del Centro Missionario Diocesano di Reggio.

Lui è un parroco e il suo lavoro è immenso: oltre a dir messa per la comunità, segue da vicino gruppi di giovani nella formazione, catechisti, cresimandi, coppie, sposi, bambini, universitari. Un’infinità di compiti che per ora porta avanti da solo poichè il suo amico sacerdote fidei donum don Simone Franceschini è tornato a casa per le vacanze e non l’hanno fatto più ripartire per via del Covid.

Ma quando parla del Madagascar don Luca parla di una missione plurale.

L’equipe missionaria è la grande famiglia allargata composta da molti volontari, laici e diverse famiglie ‘missionarie’.

«Siamo sempre stati in tanti, qui – ci racconta al telefono dall’isola – Adesso ci mancano i volontari! Per via del Covid e della chiusura delle frontiere, abbiamo dovuto sospenderne l’invio ma speriamo di riprendere presto!».

Alcuni di loro erano sull’isola da diversi anni, anche sette o otto, altri venivano per l’estate. Ma ognuno «partecipava (e partecipa anche adesso, sebbene a distanza), al grande progetto missionario con la sua presenza e il suo contributo.

Era nella missione anche Luciano Lanzoni, un laico consacrato che viveva sull’isola da otto anni, ma «il Covid nel giro di due settimane se l’è portato via – racconta Luca – E’ stato un momento molto duro, molto difficile per noi tutti qui».

Adesso senza più Luciano e con don Simone lontano, «sono rimasto solo – dice don Luca – e invece avrei un gran bisogno di condivisione».

Perchè, nonostante il paradiso (e la totale assenza di guerre civili e violenze settarie), anche il Madagascar ha i suoi crucci. Il cambiamento climatico, ad esempio.

«Da qualche anno tutto l’ovest – ci spiega don Luca – è vittima di una devastante carestia che ha ridotto la gente alla fame. E questo succede perchè non piove più. I disboscamenti hanno contribuito ad inaridire tutto».

Per fortuna lì dove vive don Luca la natura è incontaminata e i cambiamenti climatici non si sentono: «si vive per lo più di agricoltura, coltivano il riso, c’è qualche pescatore. Ma soprattutto la piccola coltivazione e l’artigianato. E’ un paese povero ma dignitoso, qui tutti riescono a fine giornata a portare qualcosa a casa».

Di turismo ce n’era prima del Covid, adesso non si vede più nessuno; la pandemia non è un rischio a Manakara ma le frontiere continuano ad essere chiuse.

«Ma il mio sogno, il mio progetto più grande è quello di concentrarmi sui ragazzi che vanno all’università e di sostenerli», dice.

Perchè oltre alla carità, ad un sacco di riso, ad un livello assistenziale di missione, il vero sviluppo, argomenta il sacerdote, «si ottiene con lo studio, mandando i giovani all’università».

Però per questo tipo di sostegno servono più investimenti: «dar da mangiare ai più poveri e sostenerli nei bisogni primari costa meno ed è necessario ma alla lunga non cambia un Paese».

Invece quel che serve al Madagascar è «una prospettiva di futuro nuovo, di crescita guardando al domani, di giovani che prendano in mano il loro domani». Anche il vescovo della diocesi ne è consapevole e spinge molto per questo tipo di sviluppo “lungimirante”. Da anni contribuisce a far studiare giovani universitari. E alla lunga tutto questo paga.