Escalation militare su Gaza: popolazione in trappola, 119 i morti

Israele minaccia un intervento di terra, i razzi di Hamas sulle città israeliane molto violenti

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In soli tre giorni la “guerra asimmetrica” (per ora solo aerea) tra l’esercito israeliano e Hamas ha già raggiunto, in termini di virulenza e vittime, i livelli del 2014, quando ebbe la durata di 50 giorni.

Le vittime palestinesi a Gaza sono salite a 119, tra cui 31 bambini, e i feriti sono 830, oltre 200 le abitazioni civili danneggiate; da parte israeliana si contano otto vittime.

Lo scrivono in queste ore le agenzie di stampa internazionali, tra cui Associated Press,  facendo notare però una differenza col passato: il lancio di razzi di Hamas sulle città costiere di Israele è più potente che in passato. Questa escalation, insomma, è la peggiore da anni.

Il popolo palestinese di Gaza è in trappola (da tenere presente che dalla Striscia non si può fuggire in nessun modo), schiacciato tra le bombe di Israele e i razzi di Hamas (diretti verso cittadine israeliane come Lod, ma che rendono sempre più probabile un intervento di terra da parte dell’Idf, l’esercito israeliano).

«Abbiamo rivisto le scene del 2014 a Gaza, quando fiumi di persone lasciavano le loro case nel nord e nella parte orientale di Gaza per tentare di salvarsi dal fuoco israeliano e dai combattimenti – ci racconta al telefono da Gerusalemme Michele Giorgio, direttore  di Pagine Esteri, rivista di approfondimento storico-culturale – Dobbiamo considerare che Hamas continuerà a lanciare razzi e a mostrare i muscoli. E tutto questo assieme a quanto fa Israele creerà un conflitto molto molto lungo».

Non c’è verso in queste ore di far placare i combattimenti, anzi. Già ieri si era parlato di un possibile attacco di terra da parte Israele, che poi è stato smentito dall’esercito israeliano.

«Ma se proseguono il lancio di razzi e le bombe – argomenta Michele Giorgio – e non ci sarà progresso da un punto di vista negoziale della mediazione, è evidente che a un certo punto gli israeliani, come già hanno fatto nel 2008 e nel 2014, entreranno con i carri armati dentro Gaza.

 

Con quale obiettivo non saprei dirlo: finora si è dimostrata inutile la loro azione militare, non si è mai ottenuto nulla con l’uso della forza, nè da una parte nè dall’altra».

L’unica vera arma da mettere in campo da parte della comunità internazionale, dicono i mediatori, è quella negoziale: tornare al tavolo della pace, discutendo delle opzioni che sono sul tavolo oramai da anni.

Sciogliere anzitutto il nodo di Gerusalemme, la Città Santa, sacra tanto agli ebrei israeliani quanto agli arabo-palestinesi (sia di fede islamica che cristiana) e divisa in due zone: la Gerusalemme Est araba e quella Ovest, abitata da israeliani.

Questa suddivisione è però minacciata nel concreto dalle decine di insediamenti di coloni nella parte orientale della città, che tolgono case e terra ai palestinesi e di fatto alimentano tensioni, ostacolando la ripresa del processo di pace.

Il nodo delle colonie è sempre centrale e andrebbe affrontato una volta per tutte: anche stavolta a scatenare la guerra è un casus belli legato alle abitazioni arabe ad est, nella zona di Sheikh Jarrah, dove circa 70 famiglie palestinesi attendono il verdetto della Corte israeliana per sapere se verranno sfrattate e private della loro casa.

(Foto scattata da Michele Giorgio a Gaza, libera da copyright)