Ecuador, intervista al leader indigeno Yaku Perez: “io difendo la Terra”.

Ha perso le elezioni ma sta vincendo una battaglia di civiltà per la vita, l'acqua, la biodiversità.

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 «Un Paese non si negozia, si difende con il cuore» è il suo slogan.  Yaku Perez, è il nuovo leader indigenista che in Ecuador si batte per i diritti delle tribù che vivono nella Cordigliera del Condor.

Il suo programma politico è ispirato ai valori millenari della sua gente e punta sulla rivoluzione verde e il ritorno alla valorizzazione delle risorse naturali della Madre Terra.

 In questa intervista ripercorriamo la sua storia personale e la sua ascesa politica fino alle elezioni presidenziali in Ecuador, che pur non avendo vinto, Perez ha contribuito a rendere più genuine e centrate sui temi essenziali.

L’Ecuador ha finalmente un leader che rappresenta il movimento indigenista. Il suo nome è Yaku Pérez, ha appena 42 anni ma da 25 si batte per i diritti delle tribù degli Shuar che da millenni vivono nella Cordigliera del Condor, come si chiama la zona più a Sud dell’Amazzonia ecuadoriana.

Candidato alle presidenziali dello scorso 7 febbraio – la sua esclusione dal ballottaggio dell’11 aprile è stata contestata da centinaia di denunce di frode – promette di continuare nella sua lotta di largo respiro, visto che propone un modello alternativo sia alla destra tradizionale che alla sinistra dell’ex presidente Rafael Correa.

Sua priorità è difendere gli indigeni, che rappresentano la maggioranza della popolazione dell’Ecuador, dallo sfruttamento e dalle brame delle multinazionali, soprattutto quelle cinesi a cui Correa aveva invece spalancato le porte.

Raggiunto da Popoli e Missione per una intervista esclusiva, Yaku racconta:

«Sono nato a Tarqui, a 20 chilometri dalla città di Cuenca. Mio padre ha imparato lo spagnolo solo a 12 anni e non è mai andato un giorno di scuola, mentre mia madre è arrivata appena alla terza elementare, ma entrambi mi hanno insegnato a lavorare, perseverare e soprattutto ad essere onesto».

Per amore dell’acqua

«Veniamo dalla sinistra ecologica che difende i diritti delle persone e della natura e questo nostro programma ovviamente include le comunità indigene», spiega Pérez, salito alla ribalta per la lotta contro i progetti delle multinazionali minerarie aumentati in modo esponenziale durante la presidenza di Correa, con una sequela di processi per corruzione che hanno coinvolto anche l’ex presidente.  L’impegno di Yaku per proteggere le fonti d’acqua è prioritario.

«La mia battaglia idrica ha radici lontane, inizia nel 2003 (quando fu nominato presidente della Federazione delle Organizzazioni Indigene e contadine di Azuay, provincia della cordigliera andina) e per difendere l’acqua sono stato incarcerato sino ad oggi sei volte.

Per amore dell’acqua ho persino cambiato il mio nome da Carlos a Yaku (che significa proprio “acqua” in quechua, la lingua indigena) perché noi siamo acqua: dall’acqua veniamo, all’acqua ritorniamo e l’acqua è il nostro futuro».

L’Ecuador del resto è il Paese dell’acqua, sia sulla Cordigliera che sulla costa che si affaccia sul Pacifico e «ha tutto per diventare una potenza ecologica, con un’economia sostenibile basata sulla biocentricità».

Il motivo, che richiama in tutto e per tutto quello espresso da papa Francesco nell’enciclica Laudato sì, lo esprime lui stesso a Popoli e Missione, «è imperativo evitare il collasso planetario a causa del riscaldamento globale, delle guerre per l’acqua e per la carenza di cibo, sapendo che non abbiamo un’altra grande casa oltre alla Madre Terra e che dobbiamo prendercene cura e proteggerla come facciamo con la nostra famiglia».

Le proposte di Yaku sono chiare. Innanzitutto una consultazione popolare nazionale per prevenire l’estrazione di metalli con l’inquinamento da mercurio ed altre sostanze chimiche in fonti d’acqua e aree ad alta biodiversità come le regioni umide dell’Ecuador, i territori indigeni dell’Amazzonia, e «tutti gli altri spazi che generano vita nel mio Paese».

Poi la conservazione del petrolio greggio nel sottosuolo dello Yasuní, il Parco nazionale che l’ex presidente Correa decise di concedere per estrarre oro nero ai cinesi, e in altri territori dove non sono stati ancora sviluppati progetti petroliferi.

Ma anche la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui corsi d’acqua internazionali ed il rafforzamento del Trattato di cooperazione amazzonica per facilitare la protezione transnazionale dei fiumi. Il sogno di Yaku è quello di creare “città ecologiche” che si prendano cura della qualità dell’aria, che riciclino per ridurre l’uso smodato della plastica e facilitare l’uso delle biciclette come mezzo di trasporto.

Il petrolio alla Cina

«L’Ecuador – denuncia il leader indigeno che proprio in bicicletta si muove anche centinaia di chilometri nelle marce di protesta per l’ambiente – è stato devastato dal saccheggio della nostra ricchezza nazionale da parte dei governi che hanno venduto la patria ipotecando il nostro petrolio alla Cina. A questo poi si è aggiunta una profonda crisi economica dal 2017, ora aggravata dalla pandemia di Covid-19 e da politici corrotti che hanno saccheggiato gli ospedali nel momento peggiore della pandemia».

Di fatto oggi l’economia dell’Ecuador è in bancarotta, con oltre 77 miliardi di dollari di debito pubblico mentre il più grande problema di salute pubblica, pandemia a parte, oggi è la malnutrizione cronica infantile.

«Tre bambini su dieci sotto i due anni di età soffrono di malnutrizione cronica e uno su quattro dei nostri bambini nasce da madri sotto i 18 anni di età, che non hanno corpo né maturità per prendersi cura dei figli».

Per questo Yaku propone di generare occupazione «creando mezzo milione di Unità Produttive per i settori agro-ecologico, artigianale, commerciale, manifatturiero, del riciclaggio, tessile, culturale e turistico».

Inoltre, sul modello del Nobel per la Pace, l’economista dello sviluppo Muhammad Yunus, il leader indigeno ha stilato un dettagliato programma per la concessione di «crediti di 10mila dollari senza interessi fino a un anno, a favore di donne e giovani imprenditori» e chiede «la riduzione dei tassi di interesse del sistema finanziario per rilanciare l’economia, generare occupazione e migliorare la qualità della vita degli ecuadoriani nell’era post-pandemia».

Eliminare le tasse sulle importazioni di macchinari per il settore agricolo e artigianale ed evitare la privatizzazione della Banca statale del Pacifico sono altri due suoi cavalli di battaglia.

Una nuova rivoluzione

«Un Paese non si negozia, si difende con il cuore» è il suo slogan.

«Alcuni parlano delle persone, io sono un popolo, altri parlano di povertà, io ho vissuto la povertà, cosa che non genera risentimento sociale ma risveglia solo la mia sensibilità e la solidarietà con la mia gente», spiega, con alle spalle i colori dell’arcobaleno della Wiphala, la bandiera simbolo dell’identità indigena delle Ande e del suo partito Pachakutik.

Termine preso dal quechua pacha, che significa tempo e spazio o mondo, e kuti, traducibile in italiano come “sconvolgimento” o “rivoluzione”.

«Il nostro scopo non è solo vincere le elezioni, ma avviare una trasformazione democratica della società ecuadoriana, mettendo al primo posto i bisogni ed i diritti da sempre trascurati degli indigeni».

La rivoluzione di Yaku Pérez rappresenta un’alternativa alla «sinistra autoritaria e corrotta» di Correa, condannato a otto anni di prigione per tangenti ed impossibilitato a tornare in Ecuador senza essere arrestato.

La sua “rivoluzione” incarna un’altra sinistra, antagonista al movimento della rivoluzione “cittadina” di Correa, una sinistra «che si allinea con i valori ambientali e indigeni e che prende le distanze dal marxismo classico».

Certo, il nuovo leader indigeno preoccupa anche la destra tradizionale, visto che ha detto di non volere pagare nessun «debito illegittimo» e non ha mai voluto incontrare i funzionari del FMI.