Gabriella Bottani, missionaria comboniana e coordinatrice internazionale della Rete mondiale della Vita consacrata contro la tratta (TalithaKum) è stata premiata a Washington con il TIP Report Hero (Eroe contro la tratta di persone).
La cerimonia di premiazione è stata presieduta dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Washington, D.C.
Ogni anno, in questo periodo, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti pubblica un rapporto sulla tratta di persone (TIP Annual Report), valutando gli sforzi compiuti dai governi stranieri nel corso dell’anno precedente per combattere il crimine globale della tratta di esseri umani.
Talitha Kum è un network internazionale di religiosi e religiose creato nel 2009 per contrastare la tratta di persone nei cinque continenti.
Suor Gabriella Bottani, coordinatrice ed anima dell’iniziativa, ci ha spiegato in un’intervista pubblicata su Popoli e Missione, com’è cresciuta la rete in 77 Paesi e come intercetta sul nascere i casi di traffici di donne, per sottrarle all’inferno.
A giudicare dai numeri e dalla capillarità del fenomeno, la tratta di esseri umani in tutto il mondo è in aumento.
Erano 40,3 milioni nel 2017 le donne, gli uomini e i bambini ridotti in schiavitù in tutto il mondo, secondo il Global Slavery Index, dell’australiana Walk Free Foundation.
Il 71% di questi nuovi schiavi sono donne e tra queste donne ci sono molte bambine.
«Purtroppo se ci fermassimo a guardare gli effetti della tratta – ci conferma suor Gabriella Bottani, 54 anni, comboniana, coordinatrice del network internazionale di Talitha Kum – dovremmo dichiarare un fallimento quasi totale nel contrastarla».
La quantità di donne, soprattutto nigeriane che vengono trafficate in tutta la regione del West Africa ad esempio – dal Niger al Mali al Burkina e Togo – è purtroppo in aumento. Ma a noi interessa soprattutto la buona notizia: e anche stavolta la good news c’è.
E’ il potenziamento costante e sempre più efficace di una seconda rete, quella che riscatta e libera le persone. In questo senso possiamo definire le suore (e anche i sacerdoti, ma stavolta il nostro focus è sulle religiose) di Talitha Kum delle wonder-women: donne coraggiose e tenaci.
«E’ aumentata la capacità di identificare il problema da parte delle protagoniste della vita religiosa femminile – conferma Gabriella Bottani – ci stiamo educando sempre di più ad individuare la presenza di casi di schiavitù e questo contribuisce all’emersione del fenomeno e delle vittime che prima restavano nascoste».
Lo strumento che hanno a disposizione è anzitutto la formazione, che però non è teoria ma tecnica allo stato puro.
Grazie a questi corsi organizzati nei Paesi target e in quelli a rischio, le consorelle di Talitha Kum oggi riescono a risalire tempestivamente ai casi di tratta.
Anche qui l’elemento tempo è prezioso. «Di recente sono stata in Burkina Faso – racconta suor Gabriella, che da cinque anni vive a Roma dopo 10 anni di Brasile – ed è stato interessante vedere come alla fine del nostro corso le suore siano state in grado di identificare già dei casi».
Questo significa mettere in fila gli eventi, ricostruire la catena degli abusi, individuare un intreccio – la rete malavitosa appunto – nella quale finiscono le donne e le bambine abusate.
«Anche tra i migranti del Malawi in Sudafrica, attraverso alcune attività di formazione e laboratori artigianali, siamo riusciti ad identificare un caso».
Dietro si nasconde molto di più: c’è un intero schema di sfruttamento e di tratta. Durante questi corsi le suore imparano a riconoscere i dettagli, i primi campanelli d’allarme e a far risuonare alcune parole chiave: ad esempio famiglia e fiducia.
I primi anelli della catena dello sfruttamento sono infatti costituiti dalla ristretta cerchia di conoscenze della vittima.
«Sono spesso persone dell’ambito della comunità o della moschea; dello spazio sociale circostante. Ricordo che mi ha colpito molto in Uganda sentire una testimonianza di una ragazza che diceva: “Io mi fido perché queste agenzie di reclutamento sono gestite dai nostri politici e dunque loro lo fanno di certo per il bene del nostro Paese».
Accade invece che per alcune, non per tutte, il viaggio diventi ingannevole. Ci sono delle falle: punti di rottura del percorso migratorio, dove la dinamica del contrabbando dei migranti o delle agenzie per l’impiego del personale all’estero, ad un certo punto si trasforma in una trappola diabolica, conferma la comboniana.
«Una delle cose più drammatiche da ricostruire per queste donne, a posteriori, è la relazione di fiducia che è stata completamente distrutta». Qui il lavoro sarà psicologico e spirituale.
Suor Gabriella ci mostra un quadro che rappresenta una ballerina in diversi momenti di vita.
«E’ il disegno di un’adolescente trafficata nelle Filippine – spiega : lei aveva il sogno di diventare ballerina. Io qui ci leggo il sogno che l’ha portata a cadere nella rete della tratta. Poi è stata riscattata a 13 anni dallo sfruttamento sessuale e ora il suo viaggio continua».
Talitha Kum in effetti lavora molto sulla prevenzione, per impedire a monte che gli abusi avvengano. Il primo livello incide sul cambiamento di mentalità per fare in modo che non accada il peggio.
«Pensiamo alla questione della tratta per matrimoni forzati – spiega ancora la comboniana – Quanto è importante cercare di far sì che i leader comunitari e religiosi, percepiscano che non è normale che una bambina sia obbligata contro la sua volontà a sposarsi? Questa è una grande trasformazione e richiede un coinvolgimento diretto delle suore locali».
Sono loro a parlare con il vescovo e con i leader comunitari: «Durante i nostri corsi una delle nostre suore è riuscita ad indentificare nel quartiere dove lei viveva, una bambina vittima di tratta per sfruttamento sessuale. Ed è stata in grado di recuperarla e riaccompagnarla nel Paese d’origine».
Gabriella dice che il loro è un «lavoro da formichine, proprio perché la tratta è capillare e difficile da identificare».
Il secondo livello è quello del recupero delle donne già nel bel mezzo della rete di abusi: e qui scatta la collaborazione con i governi e con le forze dell’ordine.
«Poiché la tratta è un crimine a tutti gli effetti e per qualsiasi Stato, è indispensabile la relazione con gli organismi governativi. Questo facilita tutto il processo di riscatto e recupero: una suora, per capirci, non può entrare in un postribolo per recuperare una ragazza: questo lo farà la polizia».
Ma in molti casi collabora attivamente per arrivare nei luoghi giusti. Insomma, si tratta di una incredibile tela tessuta da infaticabili religiose per sottrarre le donne ad un destino di dolore.
ESSERE TALITHA KUM
Talitha Kum esiste da 10 anni e fortunatamente non è l’unica rete ecclesiale di contrasto al traffico di esseri umani. Però è indubbiamente una delle più efficaci. La partecipazione è coordinata da Roma e si muove tramite la creazione di reti territoriali.
«Non si diventa membri di Talitha Kum perché si viene a chiederlo a me in questo ufficio di Roma – chiarisce subito la coordinatrice, Gabriella Bottani – ma esiste una rete italiana, l’Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI) anti-tratta.
Tutte le religiose che ad esempio in Italia vogliono identificarsi con Talitha Kum sono invitate a contattare l’USMI. Successivamente si seguono alcuni passi: noi diciamo che siamo grassroot oriented».
Sono tre le caratteristiche imprescindibili per far parte delle suore di Talitha Kum: bisogna essere impegnate con la base, ossia sul territorio, essere inter-congregazionali ed infine fare riferimento alle Superiori maggiori.