La terza edizione del Festival della Missione all'insegna della forza evangelica, laica e non.

Torino ha fatto incontrare tutta la resistenza disarmata (e missionaria) che cambia il mondo

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L’edizione 2025 del Festival della Missione di Torino “il Volto prossimo”, promosso da Cimi e Fondazione Missio, con la diocesi sabauda e la direzione artistica ambrosiana, è stato un tripudio di testimonianze evangeliche affiancate al racconto di chi si batte in prima linea per una giustizia incarnata.

Con l’idea (riuscitissima) di unire sotto un’unica insegna – quella della missione – i protagonisti più audaci della Chiesa ad gentes e i testimoni laici di un mondo in rapida trasformazione.

Tra di essi anche i famigliari di uomini e donne che sono stati uccisi per aver mantenuto una coerenza con la propria missione di vita (Diane Foley, madre del giornalista americano decapitato in Siria), o che subiscono una detenzione arbitraria per motivi politici (come la leader birmana Aung San Suu Kyi, il cui figlio Kim era a Torino).

Molto variegate le testimonianze: dai missionari della SMA per anni nel Sahel – padre Mauro Armanino e padre Gigi Maccali – al primo cardinale missionario della Mongolia, padre Giorgio Marengo.

Dalla benedettina femminista suor Teresa Forcades all’economista gesuita Gael Giraud, ai giornalisti in zone di conflitto e crisi, Jetry Dumont e Zehra Joya tra Cuba e Afghanistan. 

La forza propulsiva di questa “resistenza” missionaria di terza generazione è stata ben sintetizzata dalle parole del sociologo Roberto Mancini:

“coloro che si battono, che soccorrono, che si mettono in mare, che fanno opposizione, sono tutti fermenti di una società nuova che anticipano quella che verrà.

Sono soggetti importanti per la conversione di civiltà”.

Tra i campioni della resistenza e della giustizia, esempio di una Palestina che non cede alla violenza dei coloni, l’attivista Basel Adra, co-regista del film documentario No other land.

Che ha spiegato come il film Premio Oscar non è solo una denuncia ma “una chiamata all’azione”.

“È molto importante che tutti guardino questo film perché racconta quello che succede adesso ma che succederà nel nostro futuro” se non si metterà fine all’occupazione illegale della Cisgiordania.

 

Dal palco di piazza Castello anche don Luigi Ciotti e don Mattia Ferrari, il prete di Mediterranea.

“Io sono eretico, e la mia eresia, che voglio condividere con voi, è che l’amore vince – ha gridato Ciotti – E credo che il Signore sia più grande delle nostre paure: il suo amore non è un tribunale ma un ospedale”.

Persino nei contesti peggiori di conflitto armato o di sottrazione della libertà si può fqre resistenza attiva.

Nel mio Paese c’è una situazione dura: un gruppo di uomini al potere ha completamente rimosso le donne”, ha denunciato la giornalista afghana parlando dei Talebani.

Uno sguardo invertito sui migranti è stato offerto ripetutamente nel corso del festival.

Noi li soccorriamo, ma loro ci salvano – ha ricordato don Mattia Ferrari –

Sono relazioni in cui Gesù ci viene incontro.

Sembra che siamo noi a soccorrere persone in mare ma attraverso queste relazioni è Dio che salva la nostra vita”.

E ancora, per dirla con le parole di un altro protagonista del Festival, padre Ermes Ronchi: “la salvezza sarà di tutti o non sarà una vera salvezza”, poiché, siamo tutti “missionari chiamati alla corresponsabilità”.

Suor Adele Howard, missionaria della Misericordia in Australia, si è fatta portavoce del grido dei popoli dell’Oceania.

Gli aborigeni delle isole sottoposte al cambiamento climatico e all’innalzamento delle acque sono “spiritualmente e fisicamente esposti”, ha denunciato la missionaria.

Suor Howard ha citato l’enciclica ‘Laudato Sì’ di Papa Francesco e ha fatto capire che l’alterazione dell’ambiente per questi popoli è qualcosa che ha a che fare con la spiritualità.

Materia e spirito, parola e azione, preghiera e richiami alla giustizia, in effetti vanno di pari passo e l’intero festival non ha mai mancato di ricordarlo.