“Coloro che si battono, che soccorrono, o che si mettono in mare per raggiungere Gaza, sono tutti fermenti di una società nuova che anticipano quella che sarà.
Sono soggetti importanti per la conversione di civiltà.
E non è vero, come continuiamo a ripetere, che noi siamo in crisi: noi siamo in una trappola, ma non in crisi.
Ma quando si capisce di essere in un vicolo cieco, in quell’ esatto momento, si attivano delle forze nuove per aprire altre strade”.
È proprio ciò che fanno i fermenti sociali come chi decide di disobbedire per salvare vite in mare: non sono contestazioni, queste, sono l’avanguardia che apre altri percorsi.
È quanto ha argomentato oggi il sociologo Roberto Mancini nel corso del dialogo del pomeriggio nella Chiesa di San Filippo per il Festival della Missione.
Con lui e con la biblista Rosanna Virgili, il cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata in Mongolia.
Marengo ha raccontato di essere entrato delicatamente, ma in modo radicato, nella dimensione culturale e spirituale mongola e al pubblico ha spiegato come sia possibile “sussurrare il Vangelo al cuore della Mongolia”.
A proposito del ruolo dei missionari ha parlato di una utopia.
“Utopia non è una parola alla quale sono affezionato ma se la intendiamo come un partire da ciò che non c’è per arrivare a ciò che c’è”, allora i missionari hanno un ruolo.
“La missione della Chiesa parte dal calarsi concreto delle missionarie e dei missionari nella realtà ma porta con sé un fermento di trasformazione – ha detto il cardinale –
Siamo anche noi in cammino da un non luogo ad un luogo di fraternità e condivisione”.
Ha aggiunto Marengo: “la speranza nel mondo missionario accende anche le situazioni più difficili”.
Alimentare la speranza non è un facile ottimismo ma è un renderci conto del dono immenso che abbiamo”.