Interessi, tensioni politiche, profughi e migrazioni interne rendono più che mai problematico il quadro di un Paese che oltre 30 anni fa era arrivato alla firma di un accordo che metteva fine alla guerra civile.
Non c’è pace per il Mozambico, continuamente al centro di conflitti militari, shock climatici e deterioramento della situazione socio economica.
L’insurrezione islamista nel Nord del Paese – appena placatasi per l’intervento delle truppe rwandesi -, è sempre attiva.
Ci si domanda chi siano i padrini dietro i gruppi armati, ma la cosa certa è che ricevono cospicui finanziamenti, che sono collegati allo Stato Islamico (sebbene non siano da ricollegarsi stricto sensu alla religione) e che hanno seguito alla lettera i suoi manuali militari.
Hanno condotto e continuano a farlo, una vera e propria campagna di terrore, motivati a svuotare un’intera area del Paese per trattenere solo le donne, che avevano fatto schiave, ed i bambini, che avevano rapito, perché quell’area, nelle loro intenzioni, sarebbe dovuta diventare il nucleo di un nuovo Stato islamico.
Dall’inizio delle loro incursioni – ufficialmente collocate nel 2017 anche se le prime azioni risalgono al 2012 – i morti si calcolano nell’ordine delle migliaia, mentre gli sfollati interni raggiungono le centinaia di migliaia, 850mila secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni-Oim.
La città di Pemba, capoluogo della provincia di Cabo Delgado, ha raddoppiato i propri abitanti dall’inizio della crisi islamista, passando da 200 a 400mila, con un carico sociale difficilmente immaginabile.
Una minima parte dei profughi, forse un 10-15% ha trovato riparo nei cosiddetti campi, tutto il resto si è collocato autonomamente da parenti, affittando una casa o costruendosi una capanna.
Islam e giacimenti di gas
Il Mozambico oggi è Paese molto diverso rispetto al 1992, quello pacificato grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio.
Oltre il 50% dei mozambicani è nato dopo la pace ed i dati macroeconomici sono molto incoraggianti con un tasso di crescita del Paese che l’Italia sogna, con l’oltre il 5% di media tra il 2000 e il 2024 -, ma il dato è influenzato dal fatto che nel Nord (guarda caso al centro della rivolta islamista) sono stati trovati immensi giacimenti di gas.
Questo genera grandi entrate per lo Stato, ma alimenta aspettative che non trovano risposta.
Gli abitanti della zona dove sono stati costruiti gli impianti per l’estrazione del gas, non hanno avuto nessun beneficio da questi, al contrario interi villaggi di pescatori sono stati spostati e ricostruiti a 30 chilometri dalla costa.
Quella povertà che anche prima c’era, è adesso ancora più scandalosa confrontandola alle entrate delle società che sfruttano i giacimenti.
La produzione di gas non è ancora iniziata al 100%, l’unico impianto che funziona a pieno regime è quello dell’ENI, ma è un impianto off shore, che non si vede, mentre il gigantesco impianto di liquefazione del gas in costruzione al largo di Cabo Delgado, è quasi fermo per gli scontri militari.
Si tratta, forse, del più grande progetto in fase di realizzazione in Africa, con i suoi 40 miliardi di euro investiti da una cordata internazionale con in testa la francese Total.
Ma dell’immenso flusso di denaro che circolerà grazie al gas, difficile capire quanto arriverà veramente al Paese.
Le royalty pagate dalle società di estrazione stanno, infatti, rifondendo il famoso “debito occulto” del governo mozambicano.
Nel 2015, subito dopo la scoperta dei giacimenti, il Mozambico firmò accordi economico finanziari per circa cinque miliardi di dollari senza alcun voto parlamentare, accordi nascosti all’opinione pubblica e facilitati da un ampio corredo di corruzione.
Soldi che avrebbero dovuto essere spesi in una serie di settori, tra cui quello della difesa, e presi in prestito nella speranza di poter rifondere il debito con i soldi del gas.
Calcolo sbagliato perché la situazione precipitò prima che si generassero utili.
Nel 2016 lo scandalo finì su tutte le prime pagine dei giornali, coinvolgendo ministri, capi dei servizi segreti, l’ex presidente Ferdinand Guebuza.
Quei cinque miliardi pesano come un macigno sull’economia del Paese e tra l’altro sono stati usati in maniera dissennata grazie al coinvolgimento di funzionari del Credit Suisse, i quali sapevano che il finanziamento non sarebbe passato per il parlamento ed era sostanzialmente illegale, e offerto ad un tasso di interesse più alto di quello di mercato.
(Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Popoli e Missione di maggio).