Ivana Borsotto: "chiedere conto al nostro governo del perchè l'italia non partecipi alle conferenze di pace sul Sudan"

Webinar Sudan: Paese dilaniato dalle milizie (anche islamiste), popolo in balia della carestia

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Un Paese frammentato e dilaniato non solo dalla guerra interna tra esercito regolare (oramai in rimonta) e le Rapid Support Forces del generale Dagalo, ma anche da una serie di milizie paramilitari e civili, islamiste e non, che complicano il quadro.

Rischiando di trasformare il Sudan in un “non Stato”, modello Somalia.

Alla mercè dei combattenti e dei militari di ogni fazione e grado c’è un intero popolo che fugge: sfollato interno, rifugiato e ridotto alla fame.

Ossia all’ultimo step dell’insicurezza alimentare che tecnicamente si chiama “carestia”.

Questo è in estrema sintesi il quadro tracciato oggi dai relatori intervenuti al webinar “Guerra in Sudan: analisi e testimonianze a due anni dall’inizio del conflitto”, organizzato da Fondazione Missio, Caritas italiana e Focisv.

Dopo l’introduzione di don Giuseppe Pizzoli, direttore di Missio, che ha citato i dati relativi ai morti e agli sfollati interni (decine di migliaia di persone uccise, 12 milioni di sfollati interni e 3,7milioni di rifugiati), Bruna Sironi, giornalista esperta di Sudan e Corno d’Africa, ha spiegato i dettagli della guerra sul campo.

«Una tendenza emergente molto preoccupante – ha detto – è la frammentazione del territorio.

Nel Sudan controllato dall’esercito ci sono zone a loro volta controllate da milizie alleate all’esercito.

Si tratta di milizie islamiste che cominciano ad attribuirsi le vittorie dell’ultimo mese.

E prefigurano in futuro un modello simile a quello della Somalia dei tempi più bui».

Sironi ha spiegato che «dopo varie fasi in cui le Rapid support forces hanno preso quasi tutto il Darfur e il Sudan centrale, nonchè Omdurman, dai primi mesi dell’autunno dell’anno scorso la situazione si è ribaltata e l’esercito è tornato all’attacco riprendendo il Sudan centrale e la capitale, lasciando delle sacche contese a Omdurman».

Dunque la dice che il territorio «riconquistato dall’esercito dipende nuovamente dal governo», ma è proprio questo a generare le terribili ritorsioni delle Rapid Support Forces sulla popolazione civile.

«Le RSF si stanno ritirando e sono già in parte concentrate nel Darfur, con dei combattimenti attorno ad El Fasher».

Tuttavia è vero anche che quando «l’esercito arriva e riprende il territorio si vendica anch’esso contro la popolazione civile che ritiene abbia supportato le RSF», dice la giornalista.

Da Port Sudan, Padre Jorge Carlos Naranjo, missionario comboniano, direttore del Comboni College of Science and Technology  ha chiarito che «non parliamo certo di una guerra tra il bene e il male, poichè entrambi gli eserciti hanno responsabilità ma non è giusto considerarli alla stessa stregua».

E’ evidente che le RSF mietono vittime con particolare ferocia, soprattutto perchè in evidente difficoltà militare.

«Vengono sicuramente fuori dinamiche di vendetta e si generano spirali di violenza terribili», dice il missionario.

«I conflitti etnici – ha aggiunto padre Jorge – sono una costante qui, ma la novità è che il conflitto stavolta è scoppiato al centro del Paese, prima era accaduto al sud o all’ovest, con dinamiche simili ma ora hanno attaccato al cuore».

Il compito più grande dei missionari e degli operatori umanitari è quello di «accompagnare le persone nelle evacuazioni», dice padre Jorge.

Karthoum aveva otto milioni di abitanti, abbiamo cercato di accompagnare le persone ma è tutto complicatissimo». 

Scuole e università sono chiuse: «l’87% degli studenti ha visto la propria università attaccata dalle Rapid Support Forces».

In tutto questo caos e miseria la Chiesa ha un «forte ruolo da giocare nella denuncia», dice.

Oltre che una funzione di assistenza nel bisogno e nell’emergenza.

Fabrizio Cavalletti di Caritas Italiana nel moderare l’incontro ha spiegato che il Paese è oramai in balia della carestia: «il massimo livello di insicurezza alimentare, dopo il quale non c’è più nulla se non la morte per fame; raramente si arriva a questo livello nei conflitti».

La comboniana suor Elena Balatti, direttrice della Caritas di Malakal in Sud Sudan ha fatto notare che «oltre un milione di persone si sono riversate nel confinante Sud Sudan.

Il governo del Paese ha dato disposizione affinché le persone venissero spostate dalle zone limitrofe e portate a Malakal, noi siamo in uno stato di confine che ha il punto di passaggio e la frontiera più vicina verso la capitale».

In uno stesso campo di transito ci sono coloro che vengono dal Sudan e gli sfollati interni in situazione di difficile coesistenza.

Ivana Borsotto, presidente di Focsiv, nel chiudere il webinar, ha ribadito:

«siamo di fronte a tragedie che ammutoliscono l’anima e la difficoltà di trovare qualcosa da fare è sempre più forte».

Il 16 aprile scorso c’è stata una conferenza di pace «alla quale il ministro Tajani non ha partecipato; ma non è stato prodotto neanche un documento finale», ha spiegato.

«Questo per dire quanto sia difficile il percorso della diplomazia: gli aiuti raggiungono poco più di un miliardo, ma noi (come fondazioni e organizzazioni della Chiesa ndr.) possiamo prenderci l’impegno di riconvocare le parti per capire come aggiornare le richieste al nostro governo, per chiedere conto del perchè l’Italia non reputi importante partecipare alle conferenze di pace».