Ricostruzione, il grande business della pace e del mattone dall’Ucraina a Gaza

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Subito dopo una guerra, ai carri armati si sostituiscono gru e camion di cemento. Intorno all’affaire delle armi girano traffici, accordi politici e potere. Attorno alla ricostruzione delle aree rase al suolo dalle bombe, una speculazione che fa gola a molti, come accade sulle rovine di una Gaza ancora bombardata.

Se la guerra si fa soprattutto per vendere armi, come sintetizzava papa Francesco, il rapporto tra denaro e conflitti conosce altre declinazioni altrettanto rilevanti.

Quando l’affare delle armi sembra chiudersi in qualche teatro di guerra, in attesa che scoppino altri focolai, tra le macerie che restano si fa largo l’affaire del mattone.

Si chiama “ricostruzione” e per i potentati economici non è mai solidarietà con le vittime (come del resto per quelle di eventi naturali come i terremoti). Succede sempre e ovunque, oggi nel Vicino Oriente in Palestina e in Siria, come in Europa, nell’Ucraina ancora sotto le bombe, e in tante situazioni nel Sud devastato del mondo. La famelica bulimia di affari legati alla guerra, è stata evidente nel caso ucraino fin dall’inizio dell’intervento armato russo nel febbraio 2022; nelle regioni del Donbass che avevano dichiarato la secessione, dopo che a sorpresa fallirono i negoziati (in pratica già conclusi con successo) tra Kiev e Mosca.

 È innegabile la responsabilità delle pressioni di Paesi europei e della Nato, che al governo ucraino promisero sostegno e prospettarono la vittoria nella guerra con la Russia.

Dopo quasi quattro anni, di Russia da sconfiggere non parla più nessuno. Il presidente statunitense Donald Trump nega nuove forniture di armi a Kiev e pretende i giacimenti ucraini di terre rare come pagamento dei debiti di guerra.

Diversi governi europei, tra cui quello italiano, continuano però a fornire materiale bellico all’Ucraina, comprato proprio dai produttori statunitensi, contraendo la spesa sociale a danno soprattutto dei ceti più deboli.

Di fatto, cioè, più dura una guerra, e più affari privati si fanno durante e dopo.

Le riunioni di donors, compresa tra le ultime la Ukraine Recovery Conference 2025 tenutasi a Roma lo scorso giugno, sono cominciate già nel 2022.

E non vi si decidono doni, ma prestiti e soprattutto investimenti privati, garantiti dagli Stati, cioè dalla fiscalità generale, in assenza dei profitti previsti.

In parole povere i guadagni vanno ai soliti pochi, spesso celati in strutture finanziarie impersonali, ma molti ben conosciuti per nome e cognome, mentre rischi e perdite pesano sui cittadini che pagano le tasse, in alcuni Paesi quasi solo lavoratori dipendenti e pensionati.  

Quanto a Gaza, non è un caso che a trattare non la pace (come sbandierato da molti osservatori), ma una tregua incerta e violata, Trump abbia mandato suo genero Jared Kushner, imprenditore immobiliare come lui. Presto, infatti, sono spuntati i piani veri: ossia la divisione della Striscia in due.

In una parte, controllata dall’esercito israeliano, si avvierà subito la rimozione delle macerie e sorgeranno nuovi edifici alla cui costruzione i palestinesi potranno forse lavorare, ma che di certo non potranno permettersi di acquistare.

(La versione integrale di questo articolo è stata pubblicata su Popoli e Missione di dicembre)