Report Migrantes: Il diritto d’asilo “non può essere una speranza chiusa in carcere”

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Aumentano le persone in fuga da guerre, fame, calamità naturali e persecuzioni, mentre i sistemi di protezione sembrano arretrare, tra esternalizzazioni, reclusione e rimozione della responsabilità politica.

È quanto emerge dalla nona edizione del report sul diritto d’asilo della Fondazione Migrantes (con Tau Editrice) intitolato “Richiedenti asilo: le speranze recluse” presentato oggi a Roma alla Pontifica Università Gregoriana.

«Sempre meno migranti trovano protezione in Europa, per questo il titolo del report di quest’anno parla di speranze recluse, perché i meccanismi che si stanno attuando non riguardano solo la mancanza di canali legali, ma la possibilità di rinchiudere richiedenti asilo in centri chiusispiega Maria Cristina Molfetta, sociologa Migrantes, che con Chiara Marchetti del Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione è curatrice del report -.

Una restrizione del riconoscimento dei diritti delle persone confermata dalla decisione di ieri del Consiglio affari interni dell’Unione europea che ha votato infatti una ulteriore stretta sulle migrazioni riguardante rimpatri e lista dei Paesi sicuri.

La proposta in realtà era sul tavolo da molti mesi e conferma il trend in cui l’Unione europea sta provando ad andare su asilo e immigrazione».

Nella prima parte del corposo rapporto, lo sguardo sui dati globali, in un periodo di grave instabilità internazionale, vede la diffusione e il rafforzamento di regimi autoritari, con oltre il 70% della popolazione mondiale vive oggi in contesti autocratici.

A ciò si accompagna l’aumento delle persecuzioni, delle violenze di genere e dello sfruttamento, che alimentano movimenti forzati di popolazione senza precedenti.

Le rotte e le provenienze variano, ma la logica del contenimento e dell’esternalizzazione rimane costante: accordi come quello tra Italia e Albania, ad esempio, spostano la gestione dell’accoglienza al di fuori del territorio europeo e riducono la responsabilità politica e morale dell’Unione.

Nella seconda parte del volume viene approfondito il tema delle richieste di asilo e delle differenze tra gli Stati membri. Nel complesso, emerge l’immagine di un’Europa che tende a percepirsi come “sotto pressione” migratoria, pur contribuendo alla produzione delle stesse crisi che generano spostamenti forzati.

Nel focus dedicato alle politiche migratorie degli Stati Uniti e dell’amministrazione Trump, si analizzano le modifiche sulle modifiche legislative che hanno modificato il concetto stesso di sicurezza e di frontiere.

Ne ha parlato padre Alejandro Olayo-Mèndez, Gesuita che ha sottolineato come il recupero di una vecchia legge, l’Alien Enemies Act del 1798, abbia «consentito al presidente Trump di aggirare le normali procedure di immigrazione per alcuni cittadini stranieri, etichettandoli come “nemici”.

Nel 2025, l’amministrazione si è basata su questa legge e sui proclami presidenziali per detenere e deportare sommariamente gruppi di migranti, compresi cittadini venezuelani, verso Paesi terzi e prigioni straniere, senza udienze o le tutele che di solito regolano le procedure di asilo e di espulsione».

Il report sottolinea l’urgenza di ricollocare al centro diritto internazionale, diritto d’asilo, diplomazia e bene comune.

«Affinché ci vengano aperti gli occhi, possiamo accettare – ha dichiarato il direttore generale della Fondazione Migrantes, monsignor Pierpaolo Felicolo – che anche la testimonianza dolorosa di chi vive certe esperienze di fuga e di non accoglienza faccia parte di quella missio migrantium delineata da papa Leone.

Ma quando abbiamo visto e sentito, come Chiesa e come persone che hanno a cuore il bene comune e la dignità umana, diventa fondamentale prendere posizione e farsi vicini: è un modo per dare una forma concreta alla speranza».