"Tanti missionari e missionarie sono a servizio dei migranti"

Papa Leone ai missionari: “si apre un’epoca nuova della missione”

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«Fratelli e sorelle, oggi si apre nella storia della Chiesa un’epoca missionaria nuova.

Se per lungo tempo alla missione abbiamo associato il “partire”, l’andare verso terre lontane che non avevano conosciuto il vangelo o versavano in situazioni di povertà, oggi le frontiere della missione non sono più quelle geografiche, perché la povertà, la sofferenza e il desiderio di una speranza più grande, sono loro a venire verso di noi».

Queste parole pronunciate da Papa Leone durante l’omelia di domenica scorsa in piazza San Pietro, per il Giubileo del mondo missionario e dei migranti, aprono ad una visione allargata della missione.

«Ce lo testimonia la storia di tanti nostri fratelli migranti, il dramma della loro fuga dalla violenza, la sofferenza che li accompagna, la paura di non farcela – ha detto ancora il Pontefice – il rischio di pericolose traversate lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e di disperazione: fratelli e sorelle, quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione!».

Non a caso il Giubileo del mondo missionario è stato celebrato assieme a quello dei migranti, poichè, afferma papa Leone, la missione è dove c’è bisogno.

«Non si tratta tanto di “partire” – ha spiegato più nel dettaglio – quanto invece di “restare” per annunciare il Cristo attraverso l’accoglienza, la compassione e la solidarietà: restare senza rifugiarci nella comodità del nostro individualismo, restare per guardare in faccia coloro che arrivano da terre lontane e martoriate, restare per aprire loro le braccia e il cuore, accoglierli come fratelli, essere per loro una presenza di consolazione e speranza».

E ancora:

«Sono tante le missionarie, i missionari, ma anche i credenti e le persone di buona volontà, che lavorano al servizio dei migranti, e per promuovere una nuova cultura della fraternità sul tema delle migrazioni, oltre gli stereotipi e i pregiudizi».

Dice papa Leone XIII che questo prezioso servizio «interpella ciascuno di noi, nel piccolo delle proprie possibilità: questo è il tempo – come affermava Papa Francesco – di costituirci tutti in uno «stato permanente di missione» (Evangelii gaudium, 25).

Tutto ciò esige almeno due grandi impegni missionari: la cooperazione missionaria e la vocazione missionaria».

E proprio sulla Cooperazione ha chiesto di concentrare gli sforzi:

«Anzitutto, vi chiedo di promuovere una rinnovata cooperazione missionaria tra le Chiese.

Nelle comunità di antica tradizione cristiana come quelle occidentali, la presenza di tanti fratelli e sorelle del Sud del mondo dev’essere colta come un’opportunità, per uno scambio che rinnova il volto della Chiesa e suscita un cristianesimo più aperto, più vivo e più dinamico».

Lungi dal voler scoraggiare la missione di chi invece continua a partire e svolge la sua missione altrove, papa Leone ha detto:

«Allo stesso tempo, ogni missionario che parte per altre terre, è chiamato ad abitare le culture che incontra con sacro rispetto, indirizzando al bene tutto ciò che trova di buono e di nobile, e portandovi la profezia del vangelo».

«Siamo chiamati a rinnovare in noi il fuoco della vocazione missionaria.

Come affermava San Paolo VI, «a noi spetta di proclamare il Vangelo in questo straordinario periodo della storia umana, un tempo davvero senza precedenti, in cui, a vertici di progresso mai prima raggiunti, si associano abissi di perplessità e di disperazione anch’essi senza precedenti» (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, 25 giugno 1971)».

A proposito della sfiducia che potrebbe cogliere chi si relaziona in un mondo segnato da guerre e ingiustizie, in apertura della sua omelia ha esortato:

«Lo Spirito ci manda a continuare l’opera di Cristo nelle periferie del mondo, segnate a volte dalla guerra, dall’ingiustizia e dalla sofferenza.

Dinanzi a questi scenari oscuri, riemerge il grido che tante volte nella storia si è elevato a Dio: perché, Signore, non intervieni? Perché sembri assente?

Questo grido di dolore è una forma di preghiera che pervade tutta la Scrittura e, questa mattina, lo abbiamo ascoltato dal profeta Abacuc:

«Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti […]. Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?» (Ab 1,2-3).

Papa Benedetto XVI, che aveva raccolto questi interrogativi durante la sua storica visita ad Auschwitz, è tornato sul tema in una catechesi, affermando:

«Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. […] Dio sembra così distante, così dimentico, così assente» (Catechesi, 14 settembre 2011).

La risposta del Signore, però, ci apre alla speranza.

Se il profeta denuncia la forza ineluttabile del male che sembra prevalere, il Signore dal canto suo gli annuncia che tutto questo avrà un termine, una scadenza, perché la salvezza verrà e non tarderà: «Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4).

 

(QUI l’omelia del Papa in versione integrale)