Viaggio di Elisabetta Vitali, Segretaria nazionale di Missio Giovani e Giovanni Rocca in Kenya

Negli slum di Nairobi, “dentro la discarica di Korogocho, gas nocivi, povertà ma anche speranza”

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Una distesa infinita di baracche una attaccata all’altra a ridosso (e dentro) la discarica più grande di Nairobi.

Dal terreno esalano fumi densi «come se ci fosse una combustione, un inizio di incendio».

Tra le immondizie cresciute a dismisura, strato su strato fino a formare montagne, sorgono le baracche dello slum più famoso della capitale, assieme a quello di Kibera.

Siamo a Korogocho (che in swahili significa “ammassati gomito a gomito”): 1,5 chilometri quadrati di terreno gommoso e ondeggiante, fatto di rifiuti provenienti da tutta la città, dove vivono tra le 150 e le 200mila persone.

Dentro il dum i ragazzini e gli adulti si immergono ogni giorno per estrarre pezzi di plastica, vestiti riciclabili, vecchi televisori, mobili da rivendere in strada.

«Se getti lo sguardo oltre l’orizzonte vedi ancora e solo la discarica: la sua estensione è immensa!

E’ entrata oramai a far parte del paesaggio della periferia urbana».

A raccontarci il suo recente viaggio in Kenya tra Korogocho e Deep Sea (altra baraccopoli ai margini di Nairobi) è Elisabetta Vitali, Segretaria nazionale di Missio Giovani, sezione under trenta della Fondazione Missio.

«Siamo arrivati nella scuola elementare all’ora di pranzo: centinaia di bambini facevano ordinatamente la fila per prendere il loro piatto di chapati e lenticchie», ricorda Elisabetta.

«Ma la prima cosa che si sente appena arrivati a Korogocho – dice la ‘portavoce’ dei giovani – è il fortissimo e terribile odore di rifiuti che oramai si sono infilati nel terreno ed impregnano l’aria. 

Sembrava ci fosse un incendio ma in realtà erano i fumi delle reazioni chimiche generate dai rifiuti che formano gas nocivi».

I gas inquinano e alla lunga uccidono: «le persone costruiscono la loro baracca di lamiera, cartoni e terra dentro la discarica e respirano veleni».

Duecentomila abitanti vivono a Korogocho: sono di etnia Kikuyu, Luo, Luhya e Kamba, in gran parte comunità emigrate dalle aree rurali in cerca di migliori opportunità di vita, rimaste però intrappolate nel limbo (o nell’inferno) degli slum.

Lì dentro la vita non migliora: si sopravvive con meno di un dollaro al giorno e tutte le attività economiche ruotano attorno alla grande discarica a cielo aperto. Una “fabbrica della povertà” dalla quale si estrae tutto ciò che la grande città butta via, dicono i report di Nature. 

Ciò che i ricchi di Nairobi e i molti occidentali del Kenya gettano nei cassonetti, dicono i testimoni, finisce nel dump e viene raccolto, riciclato, rivenduto, alimentando una economia informale che tiene in piedi “l’esercito” dei poveri di Nairobi.

Tornare indietro per loro non è più possibile.

«Fortunatamente i nostri missionari riescono ad andare nello slum per le messe della domenica e per portare un po’ di sollievo e dove è possibile, sviluppo umano», dice Vitali.

Elisabetta Vitali e Fra Ettore a Deep SeaElisabetta è volata il mese scorso in Kenya con Giovanni Rocca, precedente segretario nazionale di Missio Giovani, per prendere contatti proprio con loro – i tre padri comboniani di Kariobangi, il frate francescano Ettore Marangi di Deep Sea ed altri religiosi – che l’estate prossima ospiteranno una ventina di giovani formati da Missio per un mese.

«Però è possibile far intravedere loro la speranza di un futuro riscatto – dice fra Ettore Marangi – Perchè nascere in baracca non significa rimanerci per sempre».

La disparità economica tra ricchi e poveri in Kenya è emblema delle diseguaglianze

«Dalle finestre della scuola dei comboniani, dai piani un po’ più alti dei pochi edifici di Korogocho si riescono a vedere le recinzioni delle ambasciate che sorgono proprio a ridosso della baraccopoli», spiega Vitali.

«Abbiamo chiesto ai padri comboniani di poter fare un giro nella loro missione a Kariobangi: abbiamo visitato la parrocchia e la scuola materna ed elementare che sorge dentro Korogocho.

Padre Mario Sala Danna e padre Jean-Paul Katembo Muhandiro, sono i due comboniani (un terzo è padre Otien Oduor) che vivono appena fuori lo slum e si occupano di ogni necessità dentro Korogocho. 

La cosa interessante è che riescono a fornire un’ottima istruzione ai bambini: sono riusciti anche a farsi donare un certo numero di tablet in modo tale che anche nello slum si impari ad usare internet e le nuove tecnologie.

La formazione per i più poveri non deve essere di minor qualità, sostengono: «anche nello slum si può e si deve avere l’opportunità di imparare al meglio», sostengono i comboniani.